Le basi giuridiche per l’inserimento della valutazione dei comportamenti organizzativi nei sistemi pubblici di reclutamento e di carriera

Approfondimento di Paola Aldigeri

Le norme che qui interessano per affermare con decisione la necessità di introdurre la valutazione dei comportamenti in ambito pubblico sono:

Tale norma ha delegato a decreti di natura non regolamentare del  Ministro per  la  pubblica  amministrazione  la definizione di linee di indirizzo  per  orientare  le amministrazioni pubbliche nella predisposizione dei rispettivi  piani dei fabbisogni di personale “anche con  riferimento  a  fabbisogni  prioritari  o   emergenti   e   alla definizione  dei  nuovi  profili  professionali   individuati dalla contrattazione collettiva, con particolare  riguardo  all’insieme  di conoscenze, competenze e  capacità  del  personale  da  assumere anche per  sostenere  la  transizione  digitale  ed  ecologica  della pubblica amministrazione e relative anche a strumenti e tecniche di progettazione e partecipazione a bandi nazionali ed europei,  nonché alla gestione dei relativi finanziamenti.”
A tale proposito, ricordiamo che sono state adottate linee di indirizzo nel 2018, successivamente integrate con linee guida nel 2022, più specifiche e focalizzate sull’introduzione di un vero e proprio modello di gestione del personale competency based;

Tale norma disciplina, nello specifico, il procedimento per l’assunzione del  personale non dirigenziale e prevede che le prove di esame siano “finalizzate ad accertare  il possesso delle competenze, intese come  insieme  delle  conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per  i  profili  che  svolgono  tali  compiti,  che   devono   essere specificate nel bando e definite in maniera coerente  con  la  natura dell’impiego, ovvero delle abilità residue nel caso dei soggetti  di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 12 marzo 1999,  n.  68.  Per profili iniziali  e  non  specializzati,  le  prove  di  esame  danno particolare rilievo all’accertamento delle capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e delle attitudini. (comma 1, lettera a)).
La norma è molto esplicita nell’asserire che le prove di concorso devono essere strutturate in modo tale da poter valutare anche le capacità, non solo tecniche, ma anche comportamentali; addirittura, il legislatore si spinge a prescrivere, utilizzando l’inequivocabile indicativo presente, che – per profili iniziali e non specializzati (ossia ove non si richiede una professionalità specifica già acquisita con lo studio e l’esperienza ed immediatamente disponibile) – le prove devono dare particolare peso all’accertamento delle capacità comportamentali (concrete modalità di azione) e delle attitudini (caratteristiche personali che facilitano la messa in campo di determinati comportamenti). Si tratta di una saggia indicazione, in quanto, nel caso in cui non vi sia un bisogno di ottenere la disponibilità immediata di una risorsa super specializzata, è più funzionale selezionare personale che possiede le caratteristiche comportamentali e le attitudini adeguate al ruolo, le quali agevoleranno verosimilmente anche l’apprendimento delle conoscenze tecniche necessarie! E’ noto il seguente detto: “”Potrai insegnare ad un tacchino ad arrampicarsi su un albero, ma sarà sempre meglio farlo fare ad uno scoiattolo”.
Supponiamo di dover selezionare una unità per il front office di un ente locale – area istruttori: è ovvio che sarà opportuno identificare – attraverso la progettazione di prove ad hoc – una unità con determinate attitudini personali (p.e. apertura sociale ed empatia) e adeguate capacità comportamentali che quel ruolo richiede (p.e. comunicazione efficace e comprensione e gestione dei bisogni); anche il sapere dovrà essere oggetto di valutazione, quantomeno rispetto agli elementi di conoscenza di base del contesto pubblico; ma ancor  più importante è che il soggetto sia adeguato in termini di comportamenti e propensioni personali alla copertura di quel ruolo, in quanto le conoscenze e le capacità tecniche si apprendono più velocemente delle modalità di agire, che – secondo il modello dell’iceberg – sono influenzate dagli elementi che si collocano nella parte invisibile, sommersa, dello stesso (immagine di sé, tratti, motivazioni) e richiedono più tempo per essere sviluppate. Se selezionassimo unicamente sulla base del possesso delle conoscenze, potrebbe succedere di collocare nella posizione un soggetto che conosce tutto della materia che tratterà, ma che non sa approcciarsi efficacemente al pubblico o non riesce a cogliere il bisogno dell’utente; in questo caso, il suo sapere verrebbe reso completamente inefficace dall’assenza delle capacità relazionali indispensabili per quel ruolo.
Procedendo con l’analisi della disposizione di legge, la lettera d) dello stesso comma 1 dell’articolo prescrive inoltre che i contenuti di ciascuna  prova  siano disciplinati  dalle singole  amministrazioni responsabili dello   svolgimento  delle procedure, adottando la tipologia selettiva  più  conferente  con  la  tipologia  dei  posti  messi  a concorso, prevedendo che per l’assunzione di  profili  specializzati, oltre  alle  competenze,  siano  valutate  le  esperienze  lavorative pregresse e  pertinenti,  anche  presso  la  stessa  amministrazione.  E – dulcis in fundo – la norma concede alle amministrazioni la facoltà di “prevedere  che  nella  predisposizione  delle prove le commissioni siano integrate da esperti in valutazione  delle competenze e selezione del personale, senza nuovi o maggiori oneri  a carico della finanza pubblica”.
Poiché la valutazione delle competenze comportamentali non è una facoltà ma un obbligo per le pubbliche amministrazioni, è evidente che o le stesse possiedono in house un esperto competente e legittimato a farlo o ricorrono all’esterno, ed è difficile pensare che ciò avvenga a costo zero per le casse dell’ente.

  • Articoli 7 e 9 del d.P.R. n. 487/1994:

L’art. 7, comma 8, del d.P.R. n. 487/1994, come modificato dal d.P.R. n. 82/2023 ribadisce quanto già affermato dal sopra citato art. 35-quater del d.lgs. n. 165/2001, ossia che “Per profili iniziali e non specializzati, le prove di esame danno particolare rilievo all’accertamento delle capacità comportamentali, incluse quelle relazionali, e delle attitudini e sono finalizzate ad accertare il possesso delle competenze, intese come insieme delle conoscenze e delle capacità logico-tecniche, comportamentali nonché manageriali, per i profili che svolgono tali compiti. Tali prove devono essere specificate nel bando e definite in maniera coerente con la natura dell’impiego.”
Anche l’art. 9, comma 7, prevede – tra i componenti della commissione – specialisti in psicologia e risorse umane, ove previsto, ed esperti in competenze digitali e trasversali in ambito di gestione del personale.
L’art. 18-bis dello stesso d.P.R. dispone che le regioni e gli enti locali si conformino alle disposizioni ivi contenute, allineamento che avviene nell’esercizio dell’autonomia regolamentare ed, in particolare, attraverso la modifica del regolamento sull’accesso, così come previsto dall’art. 89 del TUEL, al comma 2, lett. d).
Anche la giurisprudenza amministrativa (vedi TAR per la Lombardia – sentenza n. 2058 pubblicata il 6 settembre 2023) ha recentemente promosso a pieni titoli la metodologia dell’assessment center, quale metodo “che consente di individuare il possesso delle capacità necessarie per svolgere al meglio un’attività professionale attraverso una valutazione standardizzata dei comportamenti”.
Sancisce il Tar che “L’adozione del predetto metodo selettivo implica che, alla valutazione del livello di conoscenza delle materie del settore di riferimento attraverso le tradizionali prove scritte ed orali sia affiancata un’indagine che, partendo dall’individuazione di un ideale modello di capacità organizzative e competenze attitudinali che dovrebbe possedere la figura professionale oggetto di Concorso , giunge, attraverso una o più prove organizzate secondo una procedura standardizzata, a valutare se i candidati siano in possesso delle capacità e delle competenze attitudinali ricercate.”
Tutto quanto sopra esposto ci dimostra che le capacità comportamentali e, pertanto, le metodologie per la loro valutazione sono entrate a pieno titolo a far parte del kit di strumenti di valutazione della professionalità del dipendente pubblico, e non possono più essere ignorate né nella fase di accesso né nello sviluppo professionale e di carriera.

Ma perché sono diventate così importanti le competenze trasversali?

Perché la professionalità completa dei lavoratori è la risultante di tre tipologie di competenze:

  • LE CONOSCENZE, ossia il sapere di natura professionale acquisibili con lo studio e l’attività pratica;
  • LE CAPACITA’ TECNICO-PROFESSIONALI, ossia il saper fare, inteso come applicazione pratica delle conoscenze;
  • LE CAPACITA’ COMPORTAMENTALI (O TRASVERSALI, come le chiama il decreto), ossia quei comportamenti che facilitano la realizzazione dell’attività.

Figura 1 – Dalle conoscenze alle competenze

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Pertanto, quando ricerchiamo una persona da inserire in una determinata posizione lavorativa, o quando misuriamo la professionalità dei nostri lavoratori ai fini di progettare percorsi di sviluppo delle loro competenze, non possiamo soffermarci soltanto sulle conoscenze e capacità tecnico-professionali, ma dobbiamo allargare la nostra visuale alle competenze comportamentali, elementi più soft e difficili da cogliere, ma molto importanti per l’efficacia delle prestazioni.
Occorre, allora, che gli operatori degli uffici personale degli enti acquisiscano dimestichezza e competenza anche nel campo della progettazione di concorsi e percorsi di carriera e formativi che prendono in considerazione anche queste dimensioni, nonché sulla valutazione delle capacità di “fare” e non solo del “sapere”.

Leggi sulla medesima questione:

Parte 1: “L’approvazione del modello delle competenze trasversali dei dipendenti della Pubblica Amministrazione”
Parte 3: “L’introduzione al “mondo” delle competenze trasversali”
Parte 4: “A cosa serve il modello delle competenze trasversali”

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