La mobilità intertemporale nel pubblico impiego

Con l’introduzione nel d.lgs. n. 165 del 2001 dell’articolo 29 bis, rubricato “Mobilità intercompartimentale”, il legislatore del 2009 ha posto rimedio al lungo periodo di incertezze operative che le amministrazioni si trovavano ad affrontare in sede di inquadramento e attribuzione del trattamento economico al personale proveniente in mobilità da amministrazioni ricomprese in altri comparti di contrattazione. Sino a quel momento infatti, come si avrà modo di vedere più nel dettaglio in sede di analisi dell’articolo successivo, l’art. 30 disciplinava il passaggio diretto tra amministrazioni diverse di personale appartenente alla stessa qualifica, secondo la logica propria dell’ordinamento professionale articolato in qualifiche funzionali sulla base della legge n. 312 del 1980 non più vigente a seguito dell’introduzione dei nuovi ordinamenti professionali ad opera della seconda tornata contrattuale.

La contrattazione collettiva relativa al quadriennio normativo 1998-2001 aveva, infatti, dato spazio ad un nuovo sistema di classificazione articolato in aree o categorie a seconda del comparto di riferimento che individuavano, in relazione ai titoli di accesso alle procedure di reclutamento e ai contenuti professionali dei compiti svolti, famiglie professionali omogenee. Le aree e le categorie erano poi a loro volta articolate al loro interno rispettivamente in fasce retributive e posizioni economiche e
la progressione sia giuridica che economica all’interno del sistema era regolata contrattualmente sia pure nel rispetto del principio della garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno.

L’assenza di tabelle di corrispondenza tra gli ordinamenti professionali dei vari comparti unita all’assenza di criteri oggettivi cui poter fare riferimento per operare le equiparazioni comportavano, quindi, per le amministrazioni la necessità di procedere caso per caso in sede di inquadramento del personale in mobilità intercompartimentale sulla base di raffronti tra sistemi classificatori in alcuni casi poco omogenei. È chiaro che tale operazione non era sempre agevole in considerazione del differente criterio ispiratore posto a base dei vari sistemi di classificazione e, in alcuni casi, del disallineamento rispetto al numero di categorie e aree rinvenibili con riguardo ad alcuni comparti e, in assenza di criteri univoci, poteva presentare margini di opinabilità. A titolo di esempio si consideri che, secondo quanto previsto dall’art. 3 del CCNL 31 marzo 1999, il sistema di classificazione del personale del comparto enti locali era articolato in quattro categorie A, B, C, D, articolate al loro interno in posizioni economiche mentre, secondo quanto previsto dall’art. 13 del CCNL 16 febbraio 1999, nel comparto Ministeri, le nove qualifiche funzionali venivano accorpate in tre aree corrispondenti a livelli omogenei di competenze.

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