Le principali disposizioni che disciplinano le prestazioni sportive dei dipendenti pubblici: l’attuale disciplina

Approfondimento di Paola Aldigeri

L’attuale disciplina

Con il decreto legislativo 29 agosto 2023, n. 120 sopra citato, vengono apportate alcune modifiche all’art. 25 del decreto legislativo, attualmente in vigore dal 5 settembre 2023.
Vediamo di seguito le novità e precisazioni introdotte rispetto al testo originario dell’articolo:

1. Ampliamento dei soggetti che possono avvalersi delle prestazioni sportive dei dipendenti pubblici

Nella precedente formulazione, si prevedeva espressamente che i destinatari dell’attività sportiva dei pubblici dipendenti potessero essere soltanto le società e associazioni sportive dilettantistiche (ossia, come definite dall’art. 2, “soggetti giuridici affiliati ad una Federazione Sportiva Nazionale, ad una Disciplina Sportiva Associata o ad un Ente di Promozione Sportiva, anche paralimpico, e comunque iscritto nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39)) che svolge, senza scopo di lucro, attività sportiva, nonché la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”).
Nella nuova formulazione, l’attività può essere svolta anche a favore “delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, delle associazioni benemerite e degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, e direttamente dalle proprie affiliate se così previsto dai rispettivi organismi affilianti, del CONI, del CIP e della società Sport e salute S.p.a., ovviamente sempre fuori dall’orario di lavoro e previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza.
L’ampliamento è inserito nel primo periodo del comma 6, riferito alla prestazione “in qualità di volontari”, ma – in virtù della formulazione del terzo periodo dello stesso comma – è da ritenersi riferita  anche al lavoro sportivo, ossia alla prestazione retribuita.

2. Previsione esplicita dei soggetti che possono ricevere premi

Viene precisato che sia i volontari che i lavorativi sportivi possono ricevere premi, a cui si applica la disciplina fiscale di cui all’art. 30, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973,n. 600.

3. Possibilità – a determinate condizioni – di autocertificare da parte dei volontari le spese sostenute relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza del percipiente

E’ bene ricordare anche questa semplificazione introdotta per i volontari nel  rapporto diretto con l’ente sportivo (e non con il datore di lavoro) può essere utilizzata soltanto a due condizioni ben precise:

  • Importo di spesa non superiore a 150 euro mensili;
  • Preventiva deliberazione dell’organo dell’ente sportivo in ordine alle tipologie di spese autocertificabili e alle specifiche attività di volontariato per le quali l’autocertificazione è ammessa, in assenza della quale tutte le spese devono essere dettagliatamente documentate.

Tali norme dovrebbero essere portate a conoscenza del dipendente, in quanto, se violate, potrebbero comportare conseguenze disciplinari e penali che impattano sul rapporto di lavoro con l’amministrazione di appartenenza.

4. Esplicitazione della procedura di autorizzazione per l’attività sportiva retribuita

La norma non si limita a prevedere l’autorizzazione in caso di attività dei dipendenti pubblici che rientri nell’ambito del lavoro sportivo, ma delinea anche alcuni aspetti della procedura autorizzatoria, prevedendo che l’amministrazione di appartenenza rilascia o rigetta l’autorizzazione entro 30 giorni, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con l’Autorità politica delegata in materia di sport, sentiti il Ministro della difesa, il Ministro dell’interno, il Ministro dell’istruzione e del merito e il Ministro dell’università e delle ricerca. Se, decorso il termine di cui al terzo periodo, non interviene il rilascio dell’autorizzazione o il rigetto dell’istanza, l’autorizzazione è da ritenersi in ogni caso accordata.”
Quindi, il tempo per l’istruttoria è di 30 giorni, ossia il medesimo previsto dalla disciplina generale prevista dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, ma – in caso di silenzio dell’amministrazione – in tal caso, si concretizza sempre una ipotesi di silenzio-assenso, indipendentemente dalla natura del soggetto destinatario della prestazione; nella disciplina generale, invece, nel caso in cui la prestazione non sia rivolta a pubbliche amministrazioni, decorsi i 30 giorni, si perfeziona una ipotesi di silenzio-rifiuto, ossia l’autorizzazione si considera definitivamente negata (art. 53, comma 10).
Per elementi procedurali non definiti specificatamente dalla normativa settoriale, occorre fare riferimento alla disciplina generale del citato art. 53 e ai regolamenti interni dell’ente (es. modalità di presentazione della domanda o assegnazione temporanea ad altro ente del dipendente richiedente l’autorizzazione).
Il decreto legislativo n. 120/2023 ha, inoltre, anticipato l’adozione di parametri ministeriali, sulla base dei quali valutare la richiesta di autorizzazione.
Con nota del 14 novembre, la Funzione pubblica ha comunicato che il ministro per la Pubblica Amministrazione ha sottoscritto il prospettato decreto, fissando i parametri per la gestione delle richieste dei dipendenti pubblici che intendano lavorare nello sport a titolo oneroso.
Il decreto ministeriale – attualmente all’esame degli Organi di controllo per la registrazione e quindi non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – prevede, all’art. 1, comma 1, le condizioni al verificarsi delle quali le pubbliche amministrazioni “devono” autorizzare l’attività di lavoro sportivo:

  • l’assenza di cause di incompatibilità di diritto, che possano ostacolare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente, da valutare in concreto in ragione della qualifica del dipendente, il suo ruolo e le attività che svolge;
  • l’insussistenza di conflitto di interessi in relazione all’attività lavorativa svolta nell’ambito dell’amministrazione.

Tali condizioni devono sussistere congiuntamente e permanere per tutta la durata di svolgimento dell’attività autorizzata al dipendente.
L’utilizzo del verbo “devono” sembrerebbe che le condizioni sopra riportate costituiscano gli unici elementi da verificare per il rilascio dell’autorizzazione al dipendente, ossia che esistendo tali condizione, l’autorizzazione debba essere rilasciata; ma così non è, in quanto occorre svolgere altre verifiche.
L’articolo prosegue, infatti, con le seguenti disposizioni:

  • l’attività, oltre ad essere svolta al di fuori dell’orario di lavoro, non deve pregiudicare il regolare svolgimento del servizio e non deve intaccare l’indipendenza del lavoratore (comma 2);
  • l’attività non deve, in relazione al tempo di svolgimento e alla durata della prestazione di lavoro sportivo, pregiudicare il regolare svolgimento delle attività dell’ufficio a cui il dipendente è assegnato, con particolare attenzione per le attività che si svolgono a contatto con il pubblico.
  • per i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno, la prestazione di lavoro sportivo non deve avere carattere di prevalenza in relazione al tempo e alla durata: l’attività è considerata prevalente se impegna il dipendente per un tempo superiore al 50% dell’orario di lavoro settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento.

Sicuramente, si ritrovano alcuni principi generali che governano la materia delle incompatibilità dei dipendenti pubblici (assenza di conflitto di interessi con l’attività istituzionale, assenza di incompatibilità di diritto, divieto di pregiudizio per il regolare svolgimento dell’attività ordinaria del dipendente).
Tuttavia, vi sono alcune considerazioni che devono essere tenute presenti.
Ad esempio, particolare attenzione merita il fatto che il decreto ministeriale nulla dice in riferimento alla natura giuridica delle prestazioni autorizzabili, ossia lavoro subordinato o lavoro autonomo (incarico professionale, collaborazione coordinata e continuativa, prestazione occasionale).
Come sappiamo, per i dipendenti pubblici, esiste la regola generale stabilita dall’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 del divieto di svolgere l’attività sportiva nella forma di rapporto di lavoro  subordinato o lavoro autonomo professionale. L’unica forma di lavoro autonomo ritenuta possibile e autorizzabile per i pubblici dipendenti è sempre stata soltanto la prestazione occasionale, non essendo stata ritenuta nemmeno possibile la collaborazione coordinata e continuativa, fattispecie ibrida tra il contratto di lavoro autonomo e quello da lavoro dipendente.
Sulla base del secondo comma dell’art. 25, per rientrare nella definizione di lavoratore sportivo, non è importante la natura giuridica del contratto stipulato con l’ente, che può essere svolto sia in forma subordinata, che autonoma, che di tipo parasubordinato (collaborazioni coordinate e continuative, ai sensi dell’art. 409, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile).
Non solo. L’art. 28, comma 2, introduce anche la disposizione secondo cui, nell’area del dilettantismo, il lavoro sportivo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente:
a) la durata delle prestazioni oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera le ventiquattro ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive;
b) le prestazioni oggetto del contratto risultano coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, anche paralimpici.
Ciò significa che, in ambito dilettantistico, l’utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative sarà molto utilizzato, se non addirittura di ordinaria amministrazione.
A questo punto, quindi nel silenzio del decreto ministeriale, ci si deve chiedere se, per i dipendenti pubblici, il lavoro sportivo – in deroga alla regola generale dell’incompatibilità assoluta – possa essere autorizzato nella forma di lavoro subordinato, professionale o di collaborazione coordinata e continuativa (generalmente vietato), fermo restando che – in caso di lavoratori a tempo pieno o con rapporto superiore al 50% del tempo pieno – questo non può, in ogni caso, superare il limite del 50% dell’orario di lavoro settimanale (18 ore) oltre il quale l’attività sportiva è ritenuta prevalente e, quindi, certamente vietata.  Su questo aspetto, sarebbero necessari interventi interpretativi che chiarissero se in effetti si tratta di deroga alla regola generale, in modo che gli operatori possano rispondere alle prossime richieste di autorizzazione sulla base di un quadro normativo chiaro, seppure non del tutto condivisibile dal punto di vista sostanziale in termini di parità di trattamento tra lavoro sportivo ed altre attività lavorative.
Nel frattempo, si ritiene incauto autorizzare il lavoro sportivo nella forma di lavoro subordinato o professionale, con maggiore apertura nei confronti delle collaborazioni coordinate e continuative, che ovviamente devono sempre essere valutate rispetto alla compatibilità di tempo e di modalità di svolgimento con l’attività istituzionale del dipendente.
In riferimento al regime dei  dipendenti a tempo parziale con prestazione di lavoro non superiore al 50% del tempo pieno, ci si chiede, inoltre, se valga, anche nell’ambito delle prestazioni sportive, la disciplina generale della comunicazione per l’avvio dell’attività sportiva retribuita (vedi quanto già esaminato nella Newsletter n. 24 del 8 novembre 2023 o se, invece, occorra comunque l’autorizzazione prevista dall’art. 25, comma 6, che parla in generale di “lavoratori pubblici”, senza specificarne il regime orario. A nostro avviso, dovrebbe prevalere la disciplina generale della comunicazione, generandosi altrimenti una ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti a tempo parziale con prestazione inferiore o uguale al 50% del tempo pieno che svolgono attività sportiva e dipendenti con lo stesso regime orario che svolgono qualunque altra attività retribuita.

5. Esclusione di particolari categorie di dipendenti pubblici dalla normativa

Il comma 25, comma 6, del decreto legislativo n. 36/2021 non si applica al personale in servizio presso i Gruppi sportivi militari e i Gruppi sportivi dei Corpi civili dello Stato quando espleta la propria attività sportiva istituzionale, e a atleti, quadri tecnici, arbitri/giudici e dirigenti sportivi, appartenenti alle Forze Armate e ai Corpi Armati e non dello Stato, che possono essere autorizzati dalle amministrazioni d’appartenenza quando richiesti dal CONI, dal CIP, dalle Federazioni sportive nazionali e dalle Discipline sportive associate o sotto la loro egida.
La nota della Funzione Pubblica anticipa che, per queste categorie, sono in corso di elaborazione linee guida attuative, utili per le amministrazioni di appartenenza che hanno richiesto ulteriori precisazioni e che saranno emanate nelle prossime settimane.

Leggi sulla medesima questione:

Parte 1: “Le prestazioni di attività sportiva dei dipendenti pubblici”
Parte 3: “Documenti operativi di supporto alla gestione di prestazioni sportive da parte dei dipendenti pubblici”

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