Mentre la spending review prova a tagliare il tagliabile, c’è un angolo della Pubblica amministrazione seduto su un patrimonio di 100,2 milioni di euro, registra un risultato di amministrazione da 46,6 milioni e, caso unico, non ha nemmeno un revisore dei conti: anche perché, leggi alla mano, non dovrebbe più esistere dal 2010. Si tratta dell'(ex) Agenzia dei segretari comunali, cancellata dalla manovra estiva di due anni fa (Dl 78/2010) ed entrata da allora, insieme alla Scuola superiore per la Pa locale, in un limbo da cui non riesce a uscire. A gestirla, di proroga in proroga, è l’Unità di missione investita del compito il 31 luglio del 2010. I nuovi amministratori, come riconosce la Corte dei conti nella delibera 11/2012 della sezione delle Autonomie, hanno migliorato la gestione, riducendo le spese e chiedendo ai Comuni, in termini di quote, 25,1 milioni contro i 43,6 dell’anno prima. Anche così, l’albo dei segretari, compito dell’ex Agenzia, rimane uno dei più cari nella storia delle professioni, perché ognuno dei 3329 segretari comunali e provinciali costa 16.300 euro solo di gestione. Il problema, rilevano i magistrati, è però proprio il limbo: l’Unità di missione si limita alle «minime esigenze funzionali» della transizione, ma se non si decide l’assetto definitivo i 100 milioni di patrimonio rimarranno a dormire.
Il «portafoglio» dell’agenzia segretari
Un tesoro nascosto che vale 100 milioni
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