Non solo Imu e Iva: ad alimentare l’incendio che attraversa il fronte politico ci sono pure le nomine.
Ossia, quei 190 posti da rinnovare ai verti- ci delle aziende pubbliche, cominciando da Finmec- canica per continuare con Ferrovie, Invitalia…
Il combustibile che fino alle ultime ore ha attizzato il fuoco è in una mozione del senatore democratico Salvatore Tomaselli.
All’esponente del Pd si erano prontamente uniti alcuni senatori del suo partito oltre a esponenti delle forze che sostengono Enrico Letta, dal Pdl a Scelta civica.
Ma al momento del voto, ieri, i montiani si sono sfilati: astenuti.
Il che, al Senato equivale al voto contrario.
La ragione è l’esito delle trattative, cui hanno partecipato anche i capigruppo del Pd, Luigi Zanda, e del Pdl, Renato Schifani, che hanno portato a significative amputazioni della versione iniziale.
Per esempio l’eliminazione dei limiti anagrafici per gli amministratori e del tetto massimo al numero di mandati.
Un tetto qualificante, quest’ultimo, che Linda Lanzillotta e i parlamentari di Scelta civica avevano chiesto di ripristinare, fissandolo a tre, insieme all’inasprimento dell’ineleggibilità dei politici, che avrebbero voluto estendere non solo a quelli in carica, ma pure a coloro che fossero cessati dall’incarico da meno di un anno.
Obiettivo dichiarato, favorire il ricambio ai vertici delle aziende di Stato e impedire l’invasione dei trombati nei consigli di amministrazione di prossima nomina.
Immaginiamo che paletti come quello dei tre mandati siano stati giudicati indigeribili ai vertici di molte aziende pubbliche.
Tanto per fare un esempio, il prossimo anno sarebbe stata impossibile la riconferma di Fulvio Conti all’Enel, o di Massimo Sarmi alle Poste.
Ma gli emendamenti sono stati bocciati e la mozione è passata nella versione più edulcorata.
Il fatto è che questa offensiva parlamentare si intreccia con il lavoro dei tecnici del Tesoro, impegnati nelle stesse ore a definire i requisiti di professionalità e onorabilità delle persone incaricate di guidare le aziende pubbliche.
E non è certo un caso che la discussione della mozione abbia preceduto l’emanazione del relativo decreto ministeriale.
Come non è un caso che sia arrivato in diretta a palazzo Madama il parere favorevole del viceministro dell’Economia Stefano Fassina, incaricato di seguire per il governo la faccenda delle nomine.
In sostanza, è come se per muoversi l’esecutivo abbia atteso le direttive politiche, e ora sarà molto difficile non tener conto di quello che c’è dentro il documento approvato dal Parlamento.
Per dirne una, si potrà evitare di recepire la prescrizione contenuta nella mozione di formare un «comitato di garanzia» costituito da persone «di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza» cui affidare il compito di valutare le designazioni del governo per gli incarichi? Si tratterebbe di una specie di comitato nomine, che dovrebbe verificare il rispetto di procedure e criteri.
Fra i quali spicca l’ineleggibilità per chi è stato rinviato a giudizio o ha riportato una condanna per reati gravi quali quelli contro la pubblica amministrazione, in materia tributaria o fallimentare.
Ma è anche prevista la decadenza automatica, in corso di mandato, dei manager che abbiano subito una condanna penale o che abbiano patteggiato una pena.
Passaggio delicatissimo, ricordando che l’attuale amministratore delegato dell’Eni Scaroni ha patteggiato 17 anni fa, da vicepresidente della Techint, una pena a un anno e quattro mesi per le tangenti Enel.
La mozione stabilisce anche la trasparenze delle procedure, con la pubblicazione sul sito del ministero dell’Economia dei posti in scadenza, delle modalità per la presentazione delle candidature e delle nomine con relativo curriculum.
C’è poi la valutazione comparata dei requisiti professionali, con la previsione per gli amministratori delegati di un’adeguata esperienza nei settori «di riferimento», il richiamo all’autorevolezza e addirittura le deleghe assegnabili ai presidenti delle società: limitate rigorosamente alle «aree delle relazioni esterne ed istituzionali e della supervisione delle attività di controllo interno».
In extremis è arrivato anche un giro di vite ai compensi.
Va detto che se fossero passati gli emendamenti di Scelta civica, davanti ai quali il blocco Pd-Pdl ha fatto muro riuscendo paradossalmente a ottenere anche il consenso del Movimento 5 Stelle, ricadute non trascurabili avrebbe potuto investire anche la Finmeccanica.
Sempre che nel proprio decreto, naturalmente, il governo li avesse accolti alla lettera.
Nel cda siede infatti l’ex presidente leghista della Provincia di Varese Dario Galli, da poco commissario prefettizio dell’ente.
La sua presenza sarebbe stata ancora compatibile? In caso contrario, va da sé che il consiglio della Finmeccanica sarebbe automaticamente decaduto, rendendo inevitabile il rinnovo completo degli organi, ipotesi su cui la politica continua a essere divisa.
Primo fra tutti, il Pd.
Nel foglio che il segretario del Pd Guglielmo Epifani teneva in mano all’uscita dal locale dove si era incontrato con il suo predecessore Pier Luigi Bersani per discutere anche della Finmeccanica, c’era scritto: «scelte radicali».
Frase che non lascerebbe spazio a dubbi.
Al pari dei concetti espressi da Stefano Zara, dirigente del Pd ligure, in un lungo articolo sul quotidiano di Genova «Il Secolo XIX».
Questo il messaggio: le strategie industriali sono da rivedere completamente, puntando sul rilancio delle attività civili, di conseguenza i vertici vanno rinnovati del tutto.
Disegno chiaro, che fa leva proprio sui nuovi criteri che verranno introdotti per le nomine, ma come detto non privo di contrasti.
C’è infatti chi punta a chiudere la partita limitandosi ad affiancare il 4 luglio, data prevista per la nomina dei due posti in consiglio vacanti di competenza del Tesoro, un presidente autorevole (l’ex capo della polizia ed ex sottosegretario a palazzo Chigi Giovanni De Gennaro) all’amministratore delegato Alessandro Pansa, in attesa della scadenza naturale del consiglio, prevista fra un anno.
E chi lavora per un compromesso, promuovendo accanto a Pansa l’attuale capo di Ansaldo Energia, Giuseppe Zampini.
Ma in due settimane può succedere ancora di tutto.
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