Province, fine certa

Fonte: Italia Oggi

Segnatevi questa data: 31 marzo 2013. Sarà questa la deadline entro cui gli attuali organi provinciali decadranno per far posto al restyling voluto da Mario Monti. Una rivoluzione a bassissimo costo (dovrebbe far risparmiare allo stato solo 65 milioni di euro) che prevede la trasformazione delle province in enti di secondo livello con l’eliminazione delle giunte e consigli eletti non più dai cittadini, ma dai comuni.

Con un emendamento depositato in commissione bilancio e finanze della camera il governo rimedia così al pasticcio (scovato da ItaliaOggi il 7/12/2011) apertosi dopo la correzione in corsa all’art.23 della manovra (dl n.201/2011) prima che il testo approdasse in Gazzetta Ufficiale.

Come si ricorderà, dal decreto era improvvisamente saltato qualunque riferimento temporale alla decadenza degli organi in carica, affidata a una legge dello stato per la quale non veniva fissato alcun termine ultimo di approvazione. Una circostanza che aveva subito destato più di un sospetto visto che, dalla presentazione della manovra al suo approdo in G.U., la data ultima per far scattare la ghigliottina era via via arretrata dal 30 novembre 2012 al 30 aprile 2012 fino a scomparire del tutto.

Ora l’emendamento del governo rimette un po’ di cose a posto, supera i rilievi di costituzionalità espressi dai tecnici di Montecitorio e certifica la volontà dell’esecutivo di fare sul serio.

Le province però non ci stanno e si appellano al capo dello stato chiedendo di intercedere presso governo e parlamento per stralciare le norme. «Siamo certi che il presidente della repubblica non consentirà che una legge cancelli enti democraticamente eletti dai cittadini. E’ accaduto una sola volta nella storia del nostro paese, nel 1927 ed è stato il momento più buio per la nostra democrazia», recita una nota dell’Upi. «E’ la Costituzione che dice che le province sono un elemento costitutivo dello stato: con una legge non si può commissariare niente e dichiararne la sua decadenza prima del mandato elettivo», ha osservato il presidente Giuseppe Castiglione.

Tornando ai contenuti dell’emendamento, ci sarà tempo fino a tutto il 2012 per definire con legge dello stato le modalità di elezione dei nuovi consigli provinciali e dei presidenti. E sempre fino al 31 dicembre 2012 lo stato e le regioni avranno tempo per definire le materie, un tempo attribuite alle province, che saranno trasferite ai comuni a meno che i governatori non vogliano tenerle per sé in modo da garantirne un esercizio unitario sul territorio regionale.

Come detto, la decadenza degli attuali organi di governo provinciali, se non sarà disposta prima con legge, scatterà automaticamente il 31 marzo 2013. Saranno commissariate le amministrazioni che andranno a scadenza prima di questa data. A cominciare dalle province di Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia che sarebbero dovute andare al voto nella primavera 2012. La stretta non riguarderà le province autonome di Trento e Bolzano, mentre dovrà essere applicata dalle regioni a statuto speciale che dovranno adeguare i rispettivi statuti alle norme della manovra entro sei mesi.

Fondo di riequilibrio. Un emendamento presentato dai due relatori Maurizio Leo (Pdl) e Pier Paolo Baretta (Pd) cambia volto anche al fondo di riequilibrio che costituisce uno dei due cespiti (l’altro è la compartecipazione Iva destinata però a essere sostituita dalla compartecipazione Irpef) con cui si finanziano i comuni dopo il varo del federalismo fiscale. Nella norma sull’Imu viene inserita una modifica al dlgs n.23/2011 sul fisco municipale che cancella il principio in base al quale il 30% della dotazione del fondo va distribuito tra i comuni sulla base del numero dei residenti.

Cnel con 4 componenti in meno. Sempre un emendamento dei relatori riduce da 68 a 64 i componenti del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Oltre a 10 esperti in materia economica, sociale e giuridica restano 48 i rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato. Tra questi ci saranno anche tre rappresentanti di dirigenti e quadri pubblici e privati. Scendono invece da 10 a 6 i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato.

Tetto agli stipendi dei manager pubblici. Sarà un dpcm, entro 90 giorni dalla conversione in legge della manovra, a definire il limite massimo della retribuzione dei supermanager della pubblica amministrazione. Il parametro di riferimento sarà lo stipendio del primo presidente della Corte di cassazione (circa 260 mila euro lordi l’anno). Infine, viene posto un freno al cumulo degli stipendi dei magistrati fuori ruolo o in aspettativa chiamati a svolgere funzioni direttive o dirigenziali presso ministeri, enti pubblici o Authority. Il trattamento economico per il secondo incarico non potrà essere superiore al 25% dello stipendio principale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *