Potestà regolamentare degli enti locali in materia di sanzioni amministrative. Autotutela esecutiva.

Pubblichiamo la risposta del Sistema delle autonomie locali della Regione Friuli Venezia Giulia ad un quesito formulato da un Comune sulla potestà regolamentare degli enti locali in materia di sanzioni amministrative.

Quesito

Il Comune chiede un parere in materia di limiti all’esercizio del potere regolamentare da parte degli enti locali. Più in particolare, desidera sapere se e in quale misura possano considerarsi legittime quelle norme regolamentari che oltre a prevedere l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria impongano, altresì, al trasgressore un obbligo di facère e, in caso di inazione, un intervento sostitutivo dell’amministrazione con rivalsa dei costi sostenuti.

Risposta

In via generale, si ricorda che non compete a questo Ufficio esprimersi in merito alla legittimità degli atti degli enti locali stante l’avvenuta soppressione del regime dei controlli ad opera della legge costituzionale 3/2001.

Ciò premesso, sulle questioni poste si formulano le seguenti considerazioni generali.

In via preliminare, si osserva che, in forza della potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali conferitale dallo Statuto di autonomia, la Regione Friuli Venezia Giulia ha disciplinato la materia delle sanzioni amministrative, per la violazione dei regolamenti comunali, con l’articolo 7 della legge regionale 12 febbraio 2003, n. 4, il quale trova applicazione in luogo dell’articolo 7-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.[1]

La menzionata norma regionale stabilisce che: ‘Le violazioni delle norme dei regolamenti o delle ordinanze provinciali e comunali comportano, qualora la legge non preveda apposite sanzioni, l’irrogazione da parte dell’ente locale di sanzioni amministrative pecuniarie, in misura non superiore a diecimila euro, nonché di eventuali sanzioni accessorie sospensive o interdittive di attività derivanti da provvedimenti della medesima Amministrazione, determinate con proprie norme regolamentari‘.

Segue che, una volta accertata da parte dell’Ente l’assenza di specifiche norme di legge che prevedano sanzioni per la violazione delle medesime fattispecie disciplinate dal regolamento comunale, questi potrà senz’altro stabilire all’interno del regolamento le summenzionate sanzioni pecuniarie, pur nel rispetto del limite di euro diecimila previsto dalla normativa regionale.

Quanto alla possibilità di introdurre in sede regolamentare norme sanzionatorie aventi contenuto più propriamente ripristinatorio si rileva, in via preliminare, come, in dottrina, risulti discussa la riconduzione di tali misure all’interno del concetto di ‘sanzione in senso stretto’ atteso che le stesse, consistenti nell’imposizione di un obbligo di facère al trasgressore sarebbero prive di specifico contenuto afflittivo.[2] Al riguardo, certa dottrina le ha qualificate quali ‘mere decisioni di autotutela’.[3]

In proposito, si ritiene di rilievo quanto stabilito dall’articolo 21-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 il quale, al comma 1, così recita: ‘Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.’.

Si tratta di una norma che riconosce la possibilità di esercizio da parte di una Pubblica Amministrazione dei poteri di autotutela esecutiva i quali, tuttavia, devono alla stessa essere attribuiti da una disposizione di legge specifica che consenta all’Ente pubblico, per l’appunto, di poter agire in via immediata e diretta per attuare i propri provvedimenti.

L’articolo 21-ter della legge 241/1990 detta, quindi, una disposizione generale che prescrive la necessità della previsione normativa per i singoli casi di autotutela esecutiva.

Come rilevato dalla dottrina,[4] ‘l’esecutorietà di cui all’articolo 21-ter della legge 241/1990 affonda le proprie radici nei caratteri tipici del provvedimento amministrativo quali l’autoritatività e l’imperatività che proiettano gli effetti dell’atto direttamente ed unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario. Infatti, il principio di necessità impone il perseguimento dell’interesse pubblico cui è finalizzata l’attività amministrativa a prescindere da inerzie ed inottemperanze da parte dei privati che porterebbero ad una paralisi dell’attività senza la realizzazione dello scopo. […] La funzione esecutiva della P.A. quindi trova la propria ratio fondante nel principio di legalità che attribuisce, in senso formale, il potere di curare uno specifico interesse, in sinergia con il principio di necessità’.

Con riferimento al quesito posto, seguirebbe che l’imposizione di un obbligo di facère in caso di inosservanza di un precetto, costituendo una forma di esercizio, da parte della pubblica amministrazione, di autotutela esecutiva, non può, in attuazione del principio di legalità, essere ammessa oltre i casi in cui la legge la prevede.[5]

Si consideri, poi, che l’articolo 7 della legge regionale 4/2003, specificamente sulle misure sanzionatorie, prevede, in modo espresso, la possibilità per l’Ente locale di introdurre con proprie norme regolamentari sanzioni accessorie sospensive o interdittive di attività derivanti da provvedimenti della medesima Amministrazione, non citandosi, invece, quelle ripristinatorie in tal modo escludendosi le stesse dal novero delle sanzioni la cui introduzione è rimessa all’autonomia normativa regolamentare dell’Ente locale.

Da ultimo, a sostegno della ritenuta impossibilità di inserire in un regolamento la previsione generale di misure sanzionatorie consistenti in un facère e della impossibilità, altresì, di intervenire in via sostitutiva con rivalsa dei costi in caso di inadempimento dell’obbligo imposto consta il seguente ragionamento: a livello di normazione statale, la disciplina oggi contenuta nell’articolo 7-bis del TUEL era, precedentemente, contenuta nell’articolo 106 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383 abrogato dall’articolo 274 del D.Lgs. 267/2000. A seguito di tale abrogazione il Consiglio di Stato[6] ha affermato l’illegittimità delle norme regolamentari che disciplinassero le sanzioni amministrative derivanti dalla violazione dei regolamenti degli enti locali, ciò in quanto con l’abrogazione dell’articolo 106 del R.D. 383/1934 si era creato un vero e proprio vuoto normativo, colmabile esclusivamente attraverso una fonte di legge primaria. Si legge, in particolare, nell’indicata sentenza: ‘L’abrogazione dell’art. 106 t. u. com. prov. 1934 preclude la prospettazione della competenza dell’ente locale relativamente alla irrogazione di sanzioni, posto che l’art. 1 l. 24 novembre 1981 n. 689, dispone nel senso della comminazione di sanzioni amministrative solo in base a fonte primaria. Pertanto in assenza di altra fonte legislativa l’art. 1 è di ostacolo all’introduzione di fattispecie di illecito amministrativo mediante fonte regolamentare. […]’.

In altri termini, risulta che gli Enti locali possono disciplinare in via regolamentare l’irrogazione di sanzioni amministrative ripristinatorie per la violazione dei propri regolamenti o ordinanze nei limiti previsti dalla norma di legge che conferisce loro tale potere. In assenza di una cornice normativa che giustifichi un tanto ed in ossequio al principio di legalità, trova applicazione il disposto di cui all’articolo 1 della legge 689/1981 il cui primo comma dispone: ‘Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione’.[7]

Da ultimo, si ritiene essenziale ribadire che le considerazioni sopra esposte attengono alla questione, oggetto di quesito, della possibilità per l’Ente locale di imporre, in via regolamentare, sanzioni amministrative consistenti in un obbligo di fare nel caso di violazione di disposizioni regolamentari o di ordinanze comunali ‘ordinarie’,[8] cioè relativamente a situazioni prive del carattere della urgenza, contingenza e indifferibilità, che non siano, in altri termini, connotate dal requisito dell’emergenza,[9] e sempreché la disciplina sanzionatoria non sia contenuta in norme di legge.[10]

Tali ultime situazioni giustificherebbero la compressione della sfera individuale del singolo, che si determinerebbe imponendo allo stesso un obbligo di fare, attesa la necessità di tutelare altri valori costituzionalmente rilevanti.

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[1] Recita l’articolo 7-bis del D.Lgs. 267/2000: ‘1. Salvo diversa disposizione di legge, per le violazioni delle disposizioni dei regolamenti comunali e provinciali si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 euro a 500 euro.

1-bis. La sanzione amministrativa di cui al comma 1 si applica anche alle violazioni alle ordinanze adottate dal sindaco e dal presidente della provincia sulla base di disposizioni di legge, ovvero di specifiche norme regolamentari.

  1. L’organo competente a irrogare la sanzione amministrativa è individuato ai sensi dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689′.

[2] In proposito è stata affermata la configurabilità di sanzioni amministrative in senso stretto soltanto nei casi in cui l’ordinamento privilegi la tutela dell’interesse alla repressione della violazione della norma o del provvedimento, prescindendo dagli effetti lesivi (Benvenuti, Vigneri); mentre, qualora il fine di restaurazione dell’interesse pubblico violato prevalga su quello rivolto alla repressione della violazione in quanto tale, si configurerebbe una sanzione impropria o indiretta (Bassi), di tipo risarcitorio (De Roberto). In questi termini si veda A. Fiale, E. Fiale, ‘Abusi edilizi e sanzioni’, edizione Simone, 2012, pag. 6. In giurisprudenza, si veda Cons. Stato, sez. VI, sentenza del 15 aprile 2015, n. 1927 il quale afferma che: ‘L’ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi […] ha carattere reale. Lo stesso è volto a ripristinare l’ordine prima ancora materiale che giuridico […] e non già a sanzionare il comportamento che ha dato luogo a quella cosa. […]’. Si veda, anche, Cass. penale, sez. III, sentenza del 10 marzo 2016, n. 9949 ove si afferma che: ‘La demolizione del manufatto abusivo […] ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale […]. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU […]’.

[3] Si veda, anche, Benvenuti, voce Autotutela (dir. Amm.), in Enc. Diritto, Milano, pagg. 537 e seg.

[4] A. Imparato, ‘La funzione sanzionatoria della Pubblica Amministrazione – Rapporti con gli illeciti edilizi e natura giuridica dei provvedimenti’, in www.StudioCataldi.it

[5] A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag. 804.

[6] Consiglio di Stato, sez. I, sentenza del 17 ottobre 2001, n. 885.

[7] Tale norma è applicabile anche nei casi in cui, in luogo della legge 689/1981 si applichi la legge regionale 17 gennaio 1984, n. 1 (Norme per l’ applicazione delle sanzioni amministrative regionali) stante il rinvio da questa operato (art. 1 legge regionale 1/1984) ai principi generali contenuti nella legge statale tra cui quello di cui all’articolo 1 della legge 689/1981.

[8] A.G. Massimo, ‘Le ordinanze extra ordinem del Sindaco tra conferme e novità giurisprudenziali’, in Dir. Amm, del 2 giugno 2011 definisce le ordinanze normali nei termini che seguono: ‘Tali ordinanze vengono adottate dal sindaco nell’esercizio di funzioni attribuitegli dalla legge; l’obbligo di carattere generale fissato da un provvedimento normativo è applicabile al caso concreto: in questi casi vi è una perfetta corrispondenza tra la potestà ordinatoria e il principio di legalità’.

[9] Per fronteggiare situazioni aventi natura eccezionale il nostro ordinamento giuridico conosce l’istituto delle ordinanze contingibili e urgenti dette anche ordinanze extra ordinem.

[10] Ad esempio, si consideri che per la tutela delle strade comunali e vicinali il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo Codice della strada) attribuisce al sindaco il potere di emanare ordinanze anche impositive di obblighi: si veda, al riguardo l’articolo 6, commi 4 e 5 del D.Lgs. 285/1992.

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