Gli enti locali possono utilizzare per assunzioni negli anni successivi le quote di turn-over non utilizzate. È questo l’orientamento prevalente della maggior parte delle sezioni regionali della Corte dei conti. Il principio era già stato ribadito, per le amministrazioni non soggette a patto di stabilità, nella deliberazione n. 52/2010 delle Sezioni Riunite. Oggi la possibilità viene riconosciuta anche ai comuni sopra i 5000 abitanti e alle province. Com’è noto, questi enti sono rientrati tra le amministrazioni che hanno limitazioni alle assunzioni a decorrere dal 1 gennaio 2011. Il Dl n. 78/2010 ha infatti previsto che laddove vi sia un rapporto tra spese di personale e spese correnti inferiore al 50%, sia possibile procedere ad assunzioni nel limite del 20% della spesa delle cessazioni dell’anno precedente. Tale quota è stata aumentata al 40% con la legge n. 44/2012 di conversione del decreto fiscale. Non vi è quindi alcun dubbio che il primo anno di applicazione della disposizione sia il 2011 con rigoroso riferimento alle cessazioni dell’anno 2010. Sull’argomento, la recentissima deliberazione n. 2/2012 della Corte dei conti della Puglia ha precisato che la base di calcolo sono le sole cessazioni che si verificano nel periodo di riferimento e non la differenza fra cessazioni ed assunzioni. La questione si è però complicata con l’inizio di questo esercizio. Gli operatori si sono infatti accorti che la percentuale del 20% era in alcuni casi troppo limitata per poter permettere qualsiasi assunzione. Basti pensare che, a parità di costo contrattuale, per poter assumere un dipendente a tempo pieno sarebbero state necessarie almeno cinque cessazioni. Sono rimaste di conseguenza quote di assunzioni non utilizzate nell’anno 2011 relative alle cessazioni dall’anno 2010. È quindi possibile utilizzare oggi questo margine di turn over? Il tenore letterale della norma lascerebbe poco scampo. Infatti si fa riferimento alle cessazioni “dell’anno precedente”. Un’analisi più contestualizzata ha però permesso di giungere ad una netta apertura sulla possibilità di non perdere i resti assunzionali. Apripista in tale interpretazione è stata la Corte dei conti della Lombardia con la deliberazione n. 167/2011. Le conclusioni sono chiare: si possono riportare nell’anno successivo eventuali margini di spesa originati da cessazione di personale, non utilizzati nell’anno precedente. Si sono allineate a questo principio anche la Corte dei conti della Puglia (deliberazione n. 2/2012) e la Corte dei conti della Calabria (deliberazione n. 22/2012). Tra l’altro, anche la Funzione Pubblica, aveva già ammesso questa possibilità. Un primo accenno viene fatto nella nota n. 46.078/2010, che non era però destinata agli enti locali. Nel successivo documeto n. 11.786/2011 viene, tuttavia, affermato che le autonomie locali che operano nel rispettivo regime assunzionale, possono considerare comunque come utili criteri applicativi, i principi espressi dalla Funzione Pubblica stessa. L’analisi non deve sorprendere in quanto, in questo contesto, il riferimento non è ad un concetto di spesa di personale quanto piuttosto a una quota assunzionale. È evidente, in ogni caso, che gli enti debbano comunque rispettare la riduzione dei costi del personale rispetto all’anno precedente così come richiesto dall’articolo 1 comma 557 dalla finanziaria 2007. Unica sezione regionale ad oggi contraria al riporto delle quote di turn over non utilizzate, è quella della Toscana. Con la deliberazione n. 30/2012 viene affermato che non è possibile applicare agli enti locali questo principio sancito all’articolo 9 comma 11 del Dl 78/2010 in quanto tale disposto è riferito esclusivamente agli enti pubblici non economici e agli enti di ricerca. Riassumendo, per il 2012 gli enti locali non soggetti a patto di stabilità possono assumere nel limite delle cessazioni intervenute dal 2006 in poi e non ancora utilizzate per assunzioni, così come indicato dalle sezioni riunite della Corte dei conti della delibera n. 52/2010. Gli enti locali soggetti a patto di stabilità possono assumere nel limite del 40% della spesa delle cessazioni dell’anno precedente, utilizzando anche eventuali margini di spesa originati da cessazione di personale non ancora utilizzate.
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