Il governo, con il decreto 101 del 31 agosto ha avviato una loro parziale e graduale stabilizzazione.
La commissione Lavoro del Senato ha approvato, l’altro ieri, un parere bipartisan, votato da tutti i partiti della maggioranza e con l’astensione del Movimento 5 Stelle, che smonta pezzo per pezzo il provvedimento chiedendone la riscrittura per evitare il rischio di una sanatoria a scapito sia dei concorsi aperti a tutti sia delle norme sulla mobilità del personale.
Linda Lanzillotta e Pietro Ichino (Scelta civica) minacciano di non votare il decreto se non verranno accolti i loro emendamenti in linea col parere della commissione.
D’Alia , risentito, ribatte: «La decisione che abbiamo davanti a noi è semplice e insieme complessa: mandare a casa tutti dal primo gennaio prossimo o introdurre meccanismi virtuosi di riqualificazione e selezione della parte migliore di questa categoria di dipendenti che, comunque è indecente dileggiare e insultare».
La Cgil interviene intimando al governo di rispettare le promesse fatte «senza peggiorare il decreto già insufficiente a risolvere gli annosi problemi del precariato».
Già, i nodi alla fine arrivano al pettine.
E nessuno, nemmeno i sindacati, è immune da responsabilità.
Di proroga in proroga non si può costruire un diritto surrettizio all’assunzione.
È se la stabilizzazione dei precari può avere un senso dove serve a migliorare il servizio, tutti devono essere convinti che questo miglioramento si ottiene anche applicando finalmente una regola di buon senso: spostare il personale attuale da dove non serve a dove serve.
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