Quei tagli sofferti sugli statali

Fonte: Il Sole 24 Ore

«Non possiamo avere quello che non possiamo permetterci.
I dipendenti pubblici sanno bene che in cassa non c’è più un soldo».
Le parole del ministro del Bilancio Cristobal Montoro agitano le piazze della Spagna nelle quali i sindacati hanno organizzato ieri la protesta di 2,7 milioni di spagnoli che lavorano nelle amministrazioni dello Stato centrale, nelle Regioni e nelle amministrazioni comunali.
Il Governo conservatore guidato da Mariano Rajoy ha appena ottenuto in Parlamento l’approvazione della manovra straordinaria da 65 miliardi di euro in due anni: misure necessarie per centrare gli obiettivi di deficit concordati con l’Europa dopo aver sforato in modo clamoroso i target del 2011 chiudendo con un disavanzo pari all’8,9% del Pil; tagli e tasse quasi imposti da Bruxelles che ha concesso a Madrid un anno in più, fino al 2014, per scendere sotto il 3% del Pil.
Con la Spagna che ha accettato di essere di fatto commissariata da Unione europea e Bce per avere gli aiuti alle banche.
I grandi sindacati – Comisiones Obreras e Union General de Trabajadores – vogliono ottenere dal Governo un referendum sulla manovra «che colpisce sempre nella stessa direzione».
Anche il risanamento del Governo socialista di José Luis Zapatero era iniziato dai dipendenti pubblici: nel maggio di tre anni fa, già sotto le pressioni dei mercati, richiamato all’ordine dall’Unione europea e dopo una telefonata notturna con il presidente americano Barack Obama, Zapatero annunciava «interventi impopolari ma necessari, che toccheranno da vicino milioni di spagnoli» riducendo gli stipendi del 5% in media nel 2010 e congelando ogni aumento per tutto il 2011.
E Rajoy ha tradito quasi subito le promesse fatte in campagna elettorale e assieme all’aumento dell’Irpef, delle tasse sulla casa, dell’Iva e ai tagli lineari per tutti i ministeri, alla quarta manovra in sette mesi, è arrivato anche ai dipendenti pubblici: soppressione della «paga extra de Navidad», la tredicesima, per i funzionari di tutte le amministrazioni pubbliche.
Oltre alla riduzione dei giorni liberi e dei permessi sindacali e alla minaccia di aumentare le ore di lavoro settimanali.
La spesa per gli stipendi pagata dallo Stato e dalle altre amministrazioni è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2009, passando da 64 miliardi di euro a 126 miliardi di euro.
Poi la crisi economica ha costretto anche la Spagna a rivedere l’organizzazione della pubblica amministrazione: con difficoltà i Governi hanno tentato di contenere la spesa portandola nel 2011 a poco meno di 123 miliardi.
Ma sulla retribuzione e sul numero dei dipendenti si è aperto anche un nuovo conflitto con il Governo centrale e le Regioni che in Spagna controllano oltre un terzo della spesa pubblica e garantiscono un posto fisso alla metà dei lavoratori del pubblico con la totale competenza sui servizi sanitari e sulle scuole.
L’insofferenza verso l’austerity decisa dal premier conservatore Rajoy – che quest’anno vuole dalle Regioni risparmi per 18 miliardi di euro – è evidente in Andalusia, l’unica Regione rimasta in mano ai socialisti ma sta montando anche nei leader locali del Partito popolare: Castiglia e Leon ed Estremadura hanno osteggiato le misure contenute nella manovra astenendosi dal voto nel Consiglio di politica fiscale, mentre la Galizia – terra d’origine e feudo di Rajoy – ha espresso un «sì critico».
Ormai insostenibile inoltre lo scontro con la Catalogna, la Regione più ricca del Paese amministrata dai partiti autonomisti: «Le Regioni – dice Artur Mas, presidente della Catalogna e leader di Convergencia i Unio – che sono responsabili del 35% della spesa pubblica devono sopportare il 64% dei tagli mentre lo Stato che controlla il 52% della spesa pubblica totale contribuirà all’austerity per il 31 per cento.
Alle autonomie si chiede uno sforzo doppio.
Rajoy si sta muovendo in modo sleale».

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