Si tratta delle sentenze n. 25750 del 14 dicembre e n. 24574 del 1° dicembre, relative ad analoghi giudizi discussi nella stessa camera di consiglio dell’11.10.2016 (Rel. Torrice).
I casi
In entrambi i casi esaminati, i pubblici dipendenti erano stati licenziati per essersi assentati dall’ufficio senza timbrare il cartellino ed avevano contestato la sanzione disciplinare irrogatagli affermando di essersi solo limitati ad allontanarsi dal posto di lavoro, senza però alterare o manomettere il sistema di rilevamento delle presenze. Per tale ragione la condotta contestatagli non poteva essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 55-quater, co. 1, lett. a), del D.Lgs. n.165/2001.
Decisione della Corte
La Suprema Corte è stata però di diverso avviso, ricordando come questa disposizione (nel testo applicabile ratione temporis alla vicenda dedotta in giudizio, realizzatasi prima delle modifiche introdotte dall’art. 3, co. 1, del D.Lgs. n.116/2016) sanziona con il licenziamento non solo la falsa attestazione della presenza in servizio attuata mediante un’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, ma anche quella effettuata con “altre modalità fraudolente”, la cui concreta individuazione e qualificazione rientra nella funzione interpretativa del Giudice ed in quella nomofilattica della Corte.
In tal senso le due sentenze affermano che la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro può ritenersi corretta e non falsa, soltanto se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore sia effettivamente presente in ufficio. Viceversa, la registrazione deve ritenersi falsa e fraudolentemente attestata, qualora sia diretta a far risultare, in contrasto con il vero, che il lavoratore sia effettivamente presente in ufficio nell’arco temporale che va dal momento della timbratura in entrata sino a quella in uscita.
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