È quanto afferma la Corte Costituzionale, con la sentenza 90/2012.
La questione viene sollevata dalla presidenza del Consiglio dei ministri, che ha sottoposto al giudizio di legittimità costituzionale una legge della Regione Trentino Alto Adige.
In questa legge era previsto che il rispetto della quota dei posti vacanti da destinare all’accesso all’esterno, in sede di copertura degli stessi, poteva avvenire per compensazione fra i vari profili professionali.
In pratica, alcuni concorsi erano riservati totalmente al personale interno, ovvero alla progressione di carriera in quanto attinenti a professionalità che si sviluppavano su più livelli giuridico-economici.
Altre procedure selettive erano, invece, aperte solo ai soggetti non già appartenenti all’amministrazione.
La compensazione fra i concorsi pubblici e le progressioni di carriera non eccedeva il limite del 50% previsto dalla giurisprudenza consolidata prima e dall’articolo 24 del Dlgs 150/2009 poi.
La Corte interviene su questo impianto e abbraccia la tesi proposta da Palazzo Chigi.
Riconosce così l’illegittimità costituzionale della disposizione in questione in quanto contraria ai principi di uguaglianza e di buon andamento della Pubblica amministrazione: la norma poteva essere utilizzata per aggirare il principio del pubblico concorso, previsto dagli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Mentre rigetta la tesi della Regione, la quale aveva sottolineato come la stessa Corte Costituzionale avesse ammesso, con la sentenza 213/2000, che per «peculiari situazioni giustificatrici» si potesse derogare dal concorso pubblico.
Quindi, concorsi con riserva massima del 50% agli interni, ma calcolata per singolo profilo professionale.
Aggiunge la Corte che il rispetto del 50% dei posti da destinare all’esterno per compensazione porterebbe ad avvantaggiare il personale interno nelle categorie superiori e riservare agli esterni solo i posti che richiedono mansioni inferiori.
Inoltre, evidenzia come il calcolo della riserva non possa prendere in considerazione i posti coperti con concorsi in anni passati, ma deve far riferimento al momento «genetico».
Si può affermare, quindi, che le progressioni di carriera, negli enti medio-piccoli, sono praticamente morte.
Considerati i vincoli in materia di assunzioni, oggi per poter procedere ad una progressione di carriera si devono verificare cinque cessazioni per assumere dall’esterno ed un’altra per la differenza di stipendio tabellare per la progressione; tutte del medesimo profilo professionale.
Situazione del tutto irrealizzabile, viste anche le strette in materia di pensioni, se non in enti dove il numero di dipendenti arriva alle quattro cifre.
Anche qualora venga approvata definitivamente la proposta di elevare dal 20 al 40% il limite delle assunzioni rispetto alla spesa dei cessati dell’anno precedente, modifica in discussione in Parlamento, il quadro migliora, ma resta sempre molto critico.
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