Ministro, che cosa le ha insegnato la travagliata vicenda del tetto agli stipendi?
«Che cè ancora, anche in parte della dirigenza dello Stato italiano, troppo poca cultura della trasparenza».
Non critica lentità degli stipendi, è giusto che siano così alti?
«Se non vogliamo fare demagogia, lentità di alcuni compensi potrebbe anche essere giustificata dal numero dei dipendenti che si coordinano e dalla delicatezza dellincarico che si ricopre. Il vero problema è che neanche lo Stato, prima del decreto, sapeva quanto pagava veramente ogni suo manager. Anche perché ci sono molti dirigenti cumulano più di un incarico».
E questo cosa ha determinato?
«La diffusione di schegge difficili da afferrare, con compensi non parametrati al ruolo assegnato nellamministrazione. Non solo a livello centrale».
Si riferisce ai manager di Regioni e Comuni oppure a quei 4-5 segretari di enti non di primissima fila come le Camere di Commercio che arrivano a dichiarare più del tetto dei 294 mila euro?
«Non è questione di singoli casi ma di sistema».
Che vuol dire?
«Col decreto sul tetto stabiliamo che il dirigente che ha un secondo incarico se lo fa pagare al 25%, deve dichiararlo e non può superare in alcun caso 294 mila euro. Quindi stabiliamo una regola chiara che non vale solo per i manager più importanti ma anche per una larga fascia di alti burocrati. Ora stiamo riflettendo sulla raccolta di questi dati, ovvero se affidarla ad un ufficio specifico oppure utilizzare banche dati che già esistono. Sia come sia, queste cifre devono essere complete e conosciute dagli italiani. Poi si deve riflettere sui criteri che determinano i compensi, criteri che dovrebbero valere per tutti».
Secondo le Camere si dovrebbero prevedere alcune eccezioni al tetto, finirà così?
«Questa decisione potrà essere presa dopo lesame dei pareri ed è nelle mani del presidente del Consiglio».
Per disboscare un po di privilegi bisognerebbe estendere il tetto a Comuni e Regioni…
«Il governo non può farlo perché deve rispettare le Autonomie locali. Ma il Parlamento sì. Il parere della Camera suggerisce una modifica normativa e bisognerà valutare».
Intanto i partiti hanno raggiunto unintesa sulla riduzione del numero dei Parlamentari e su nuovi equilibri costituzionali. Che ne pensa?
«Il presidente del Consiglio ha più volte chiarito che le riforme costituzionali competono al Parlamento. Questo è particolarmente vero per una riforma come questa».
Torniamo al fronte dei poteri locali…
«Sulle Province stiamo varando una riforma profonda».
Davvero sfoltirete i 4 mila consiglieri provinciali e le decine di Agenzie doppioni di assessorati?
«In Parlamento si sta discutendo della legge costituzionale che dovrebbe dimezzare le attuali Province accorpandole. Contemporaneamente abbiamo approvato un disegno di legge che conferma la scelta di non far votare più il popolo per le elezioni provinciali. Presidente e consiglieri provinciali futuri, al massimo 16, saranno eletti solo tra i consiglieri comunali e quindi non avranno diritto ad altri compensi. E presto per fare cifre, ma alla fine salteranno migliaia di poltrone e daremo un assetto più razionale a quella parte di amministrazione italiana più legata al territorio».
Non era meglio eliminare le Province e chiuderla lì?
«Parte delle funzioni delle Province saranno affidate ai Comuni. Le Regioni, invece, non avranno nulla. Ma tra Comuni e Regioni è ragionevole un livello intermedio per funzioni di area vasta: la manutenzione delle strade, la tutela ambientale, la pianificazione del territorio. Ora queste funzioni saranno affidate a Province più grandi governate da un presidente, eletto solo tra i consiglieri comunali, che avrà un profilo tuttaltro che anonimo».
E un compromesso o una buona soluzione operativa?
«Asciughiamo i costi, snelliamo la classe politica locale e rivitalizziamo lamministrazione italiana ridefinendola su tre livelli, Comuni-Province-Regioni comè nella maggior parte dei paesi europei».
Ministro, lei conosce bene il vizio degli assessorati provinciali di dare vita ad Agenzie o Enti che sono il loro esatto duplicato con lunico obiettivo di moltiplicare poltrone e stipendi.
«Stiamo pensando di vietare la costituzione di Agenzie ed Enti. E più difficile vietare la costituzione di società ma dovremo trovare la formula per bloccare queste degenerazioni».
Mantenere il presidente della Provincia equivale ad unauto blu in circolazione.
«Comunque le auto blu sono dominuite del 13% e scenderanno ancora. Ma i tagli veri sono altri».
E cioè?
«Se davvero riusciremo a dimezzare le Province è chiaro che dovremo ripensare lorganizzazione periferica dello Stato».
A cosa si riferisce? Prefetture, questure, direzioni provinciali dellInps e delle Agenzie fiscali.
«Esatto. Per tradizione lo Stato italiano è strutturato su base provinciale».
Questo vuol dire che unificando due province dovrebbero unificarsi anche gli uffici ministeriali locali e i loro dirigenti?
«Non ci sono automatismi ma sarebbe ragionevole rifletterci. Comunque assieme al ministro dellInterno, Anna Maria Cancellieri, stiamo ragionando su una diversa organizzazione degli uffici periferici. Sono troppi e male organizzati. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad ununica struttura provinciale che coordini gli acquisti in loco delle amministrazioni oppure razionalizzi gli affitti».
Si torna alla filosofia dellUfficio unico sul territorio che prese piede negli anni Novanta e che poi si è persa per strada?
«Torniamo su quella strada».
Quanto è duro disboscare la burocrazia?
«LItalia è un Paese complesso. Per ottenere risultati decenti occorre agire in modo coordinato su tanti fronti: leggi costituzionali, disegni di legge, decreti, confronto con i sindacati sulla contrattazione e tanto altro. Però una cosa posso dirla: se si affronta questa giungla col macete non si va da nessuna parte. Serve pragmatismo. Tanto, tanto pragmatismo».
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