Per quanto riguarda il decreto legislativo recante disciplina della dirigenza pubblica, sono stati acquisiti i pareri parlamentari e si è tenuto conto delle indicazioni del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata.
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Nello specifico, il sistema della dirigenza pubblica sarà caratterizzato dal nuovo meccanismo dei tre «ruoli unici» per PA statale, regioni ed enti locali, in cui i dirigenti potranno concorrere per gli incarichi di quattro anni messi a bando dalle amministrazioni.
Chi rimane senza incarico perderà le parti variabili della retribuzioni: dopo due anni, i dirigenti in stand by saranno ricollocati d’ufficio dove c’è un posto disponibile e, in caso di rifiuto, usciranno dal ruolo.
Se il dirigente si vede revocare l’incarico perché non raggiunge gli obiettivi fissati dall’amministrazione, ha un anno di tempo per trovarne uno nuovo prima di decadere.
Il passaggio al nuovo sistema sarà però graduale. I meccanismi attuali rimangono in vigore fino a quanto le commissioni chiamate a gestire i tre ruoli non fisseranno i criteri generali in base ai quali assegnare gli incarichi, e nei 18 mesi successivi gli incarichi statali, regionali o locali saranno riservati a chi è iscritto ai rispettivi ruoli.
Solo dopo si potrà attivare il passaggio libero dai Comuni alle Regioni o allo Stato, o viceversa, che traduce l’obiettivo della riforma di creare una «dirigenza della Repubblica» unica e mobile. Addio quindi alla divisione fra prima e seconda fascia nella dirigenza statale.
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