Legge 104 – È truffa usare i permessi per un viaggio di piacere

Il caso

Una lavoratrice viene condannata per truffa (ex art. 640 c.p.) per aver utilizzato i permessi retribuiti ex legge 104 /1992 per effettuare un viaggio di piacere all’estero, invece che per assistere il proprio familiare disabile.

La lavoratrice ricorre in Cassazione affermando che: i “permessi 104 servono senz’altro al fine di assistere il parente disabile, ma non può essere ignorato il loro scopo di realizzazione del completo equilibrio del lavoratore impegnato, oltre che nel proprio lavoro, anche nella talora gravosissima cura del soggetto disabile“.
Inoltre, la ricorrente segnala che non esistono norme che stabiliscano una precisa modalità di fruizione; ciò comporterebbe una libertà di scelta nell’utilizzo degli stessi in capo al titolare, che ha diritto di trattarli come “giorni feriali di libertà”.

I giudici di entrambi i gradi di giudizio avevano ritenuto che quei particolari permessi fossero finalizzati alla cura e alla salvaguardia psico-fisica della persona affetta da handicap grave.

La decisione della Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione il permesso oggetto d’esame viene inquadrato come “strumento di politica socio-assistenziale“, basato sul “riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale

L’agevolazione permette al lavoratore di avere a disposizione tutta la giornata “per programmare al meglio l’assistenza” del disabile, “in modo tale da potersi ritagliare uno spazio per compiere quelle attività che non sono possibili (o comunque difficili)” quando l’assistenza è limitata alle ore post-lavoro.

Il lavoratore pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore di lavoro, deve comunque garantire un minimo di assistenza.  Di conseguenza risponde di truffa chi utilizzi quei permessi per recarsi all’estero, in viaggio di piacere.

LEGGI la SENTENZA della Corte di Cassazione, 23 dicembre 2016, n. 54712

 

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