L’assoluzione penale raddoppia il procedimento disciplinare ma con effetto retroattivo

Approfondimento di Vincenzo Giannotti

Il caso particolare, posto all’attenzione della Suprema Corte, riguarda l’apertura di un procedimento disciplinare conclusosi con il licenziamento per fatti rilevanti a livello penale, con obbligo della sua successiva riapertura, a seguito dell’assoluzione definitiva del dipendente pubblico. Il secondo procedimento disciplinare si concludeva con il licenziamento ma con tre diverse conclusioni del giudice del lavoro adito dal dipendente. Il Tribunale di prime cure, sia nella fase sommaria che successivamente in sede di reclamo, dichiarava il licenziamento non proporzionale ma disponeva una indennità risarcitoria per il recesso illegittimo, la Corte di Appello riformava la sentenza con la reintegrazione del lavoratore ma con il pagamento delle differenze retributive a partire dalla data di riapertura del procedimento disciplinare, infine la Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 2018, n. 29376, confermava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ma attribuendogli le differenze retributive sin dall’inizio del primo procedimento disciplinare che si era concluso con un licenziamento di fatto illegittimo.

La vicenda

Una dipendente dell’Agenzia delle Entrate subiva un procedimento disciplinare espulsivo per i medesimi fatti rilevati come reati in sede penale di cui si apriva il procedimento. Nelle more della conclusione del processo penale, l’ente aveva proceduto al licenziamento della dipendente. A conclusione, tuttavia, del procedimento penale, che dichiarava la dipendente definitivamente assolta da ogni addebito, nei termini previsti dalla legislazione la dipendente chiedeva la riapertura del procedimento disciplinare. Tale riapertura è, infatti, consentita dall’art.55-ter, comma 2, del d.lgs.165/2001 secondo cui “Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente…

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