Sulle province, Letta segue il percorso giusto

Fonte: Italia Oggi

La Consulta ha bocciato il provvedimento per dimezzare il numero delle province in base a una motivazione squisitamente giuridica. Il motivo invalidante è che il governo Monti era ricorso a un decreto legge per attuare una modifica istituzionale. Il decreto legge, invece, può essere adottato solo in condizioni di indifferibilità e urgenza cioè per far fronte a necessità straordinarie per le quali non si potrebbe intervenire in tempo utile attraverso il percorso ordinario di approvazione di una legge.

Ma dietro a questa motivazione (la sola peraltro che poteva assumere la Corte costituzionale) c’è un tema socio politico deflagrante che è stato colpevolmente sottovalutato da chi aveva studiato il dimezzamento delle province, obbedendo solo a considerazioni giuridiche (peraltro mal applicate, come si è visto) ma pure a una visione assurdamente romanocentrica e ipersemplificatrice delle vicende di un paese così complesso com’è l’Italia, con le sue mille storie, sfaccettature e resistenze. Non si poteva quindi abolire metà delle province ma si doveva abolirle tutte (come ha deciso adesso Enrico Letta) sia pure attraverso il più lungo percorso di una modifica costituzionale.

Infatti, abolendo alcune province e non altre si finiva per attribuire a una provincia il ruolo di divoratrice di altre province a essa vicine. Chi ha fatto questa scelta ha equivocato fra Ente Provincia, che può essere abolito senza troppe resistenze, e province come territorio che invece meritano rispetto perché quasi sempre sono il risultato di una lunga storia. Per esempio, fondere Mantova con Cremona e Lodi, significa sciogliere le province di Lodi e di Mantova in quella di Cremona, visto che, non abolendo tutte le province, deve restare una provincia nella quale concentrare gli uffici provinciali. Invece se tutte le Province-enti vengono cancellate, le province-agglomerato socio-economico sopravvivono. Nel caso dell’esempio precedente, lodigiani, cremonesi e mantovano si sentirebbero tutti a casa loro anche senza disporre, tutti, dell’ente provincia. Solo uno che non si è mai allontanato con la testa dalla Capitale (anche se ha studiato dall’altra parte dell’Oceano) può pensare che gli irpini (Avellino) possano accettare di annullarsi nei sanniti (Benevento).

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