Mansioni superiori e pubblico impiego

Corte di Cassazione Civile Lavoro 12/10/2016 n. 20545

La Corte osserva che,in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nel Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52, comma 5, non é condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’articolo 36 Cost..

La suddetta norma va intesa nel senso che l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’articolo 36 Cost.; tale norma deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni.

La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l’applicabilità anche al pubblico impiego dell’articolo 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma dell’articolo 2126 c.c., l’eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (cfr. Corte Cost. sent n. 57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n. 115/2003, n. 229/2003).

Neppure il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’articolo 36 Cost. (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 236).

Neppure vale a contrastare tale principio la possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un’equa retribuzione ex articolo 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni superiori al di fuori delle procedure prescritte per l’accesso agli impieghi ed alle qualifiche pubbliche, perché il cattivo uso di assegnazione di mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e sinanche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alle gestione dell’organizzazione del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo la lesione di un diritto di cui in precedenza si e’ evidenziata la rilevanza costituzionale (in tal senso, S.U., sent. n. 25837 del 2007, cit.).

Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è dunque condizionato all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico che disponga l’assegnazione.

Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass. n. 27887 del 2009). In proposito, la Corte costituzionale ha osservato (n. 101 del 1995) che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione; la spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alte funzioni di fatto espletate è un precetto dell’articolo 36 Cost., la cui applicabilità all’impiego pubblico non può essere messa in discussione (cfr. sentenza n. 236 del 1992). L’astratta possibilità di abuso di tale potere e delle sue conseguenze economiche, nella forma di protrazioni illegittime dell’assegnazione a funzioni superiori, non è evidentemente un argomento che possa giustificare una restrizione dell’applicabilità del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato.

 

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