L’assetto organizzativo degli enti: le indicazioni del Consiglio di Stato

Approfondimento di Carlo dell’Erba

Le scelte di modifica dell’assetto organizzativo di un comune devono essere adeguatamente motivate ed i regolamenti di organizzazione vanno adottati dalle giunte sulla base dei principi dettati dai consigli. Si deve essere attualmente inquadrati nel corpo della polizia locale per potere essere destinatari dell’incarico di comandante. Sono queste le più importanti indicazioni dettate dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

La riorganizzazione

Le scelte organizzative degli enti devono essere adeguatamente motivate ed è necessario acquisire la deliberazione di indirizzo da parte del consiglio comunale prima della decisione della giunta. Sono questi i principi fissati dalla sentenza della seconda sezione del Consiglio di Stato n. 2680/2024.

Leggiamo in primo luogo che “nella vicenda controversa, se valutata complessivamente, si rileva un improprio e ripetuto esercizio di poteri non spettantigli da parte della Giunta che, inizialmente ha provveduto a riorganizzare gli uffici comunali senza attendere l’indicazione delle linee generali da parte del Consiglio e che successivamente, dopo aver ricevuto un mandato alquanto generico (ne appare piuttosto come una ratifica) ha riconfermato l’assetto organizzativo e le nomine deliberate” in precedenza dalla giunta comunale. Tale scelta, “sia nella prima che nella seconda occasione” è sta effettuata “senza seguire criteri predeterminati, soprattutto per quel che riguarda la nomina e la valutazione dei dirigenti assegnati ai singoli settori”.

La seconda indicazione è che queste scelte “evidenziano anche che i provvedimenti impugnati non sono stati preceduti da un’adeguata istruttoria come dimostra il fatto che le suddette nomine, intervenute in assenza di un’indagine strutturata in grado di supportare le singole scelte, risultano scarsamente, se non addirittura apoditticamente motivate”; argomento rafforzato da ulteriori scelte compiute dall’ente nella stessa scelta dei dirigenti.

Viene infine stabilito che non sono da ritenere illegittimi,  “sia la disposta riduzione delle retribuzioni dei responsabili dei Settori che la riduzione dei settori da quattro a tre con la soppressione del Settore Servizi amministrativi, istituzionali e per lo sviluppo economico, scelta quest’ultima che, ad un giudizio estrinseco, si rivela immune dai vizi indicati in gravame. Invece, il ricorso a personale esterno che, successivamente alla proposizione del gravame, si è reso necessario per le precarie condizioni organizzative e finanziarie dell’ente locale, non costituisce attività immediatamente lesiva della posizione giuridica della parte appellante, rendendo inammissibile la relativa doglianza per carenza di interesse”. Infine la presunta “illogicità di collocare il SUAP nell’ambito del Settore Polizia Locale” va rigettata: “trattandosi di atti di macrorganizzazione, detta scelta era caratterizzata da accentuata discrezionalità amministrativa”.

Il comandante della polizia locale

I comandanti della polizia locale devono necessariamente appartenere allo specifico corpo. E’ questo il principio fissato dalla recente sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 2518/2024.

In premessa, viene assunta la competenza del giudice amministrativo, in quanto si tratta di atti di macro organizzazione dell’ente. Leggiamo testualmente che devono essere “definiti atti di macro organizzazione, attratti alla giurisdizione amministrativa, i provvedimenti con i quali si definisce l’assetto complessivo di un apparato amministrativo e si distinguono dagli atti di micro organizzazione, riservati alla cognizione del giudice ordinario, i quali invece presuppongono già definito l’assetto della struttura e sono destinati a disciplinare in modo particolare i rapporti di lavoro del personale addetto a quell’apparato. In questa direzione, l’atto di macro organizzazione si occupa dunque di individuare le funzioni, gli obiettivi di azione e relativi i centri di responsabilità di un apparato amministrativo e, laddove ne individua i ruoli (dirigenti responsabili, addetti) definendone l’organigramma, non conforma il rapporto di lavoro di coloro che li rivestono, ma resta sul piano della gestione generale del servizio, conservando un contenuto funzionale inscindibile che definisce le interazioni di mezzi, compiti, programmi e attività. Gli effetti che l’atto di macro organizzazione riflette in concreto sui rapporti di lavoro degli addetti all’Ufficio sono dunque indiretti; ciò da un lato ne esclude la devoluzione al giudice ordinario, dall’altro radica la posizione differenziata che legittima coloro che sono incardinati nella relativa struttura amministrativa ad impugnarli davanti al giudice amministrativo”.

La seconda indicazione dettata in premessa è che la decorrenza a ricorrere matura a partire dalla data in cui sono adottati i provvedimenti lesivi della posizione giuridica del ricorrente: solo nel momento in cui “il dirigente adotti un atto che il ricorrente ritiene lesivo nei suoi stessi confronti, che quest’ultimo potrà allora (prioritariamente) invocare l’assenza di potere dirigenziale ossia la carenza di attribuzioni funzionali idonee ad incidere con pregiudizio in riferimento alla posizione soggettiva vantata dal ricorrente. Il decreto di nomina del dirigente ad interim assumeva consistenza non di immediata lesività ma soltanto di mediata lesività ossia unitamente ed in occasione della adozione di un atto, a firma di quello stesso dirigente ritenuto per l’appunto privo dei relativi poteri, che potesse in qualche modo essere ritenuto pregiudizievole per la posizione vantata dal ricorrente (nel caso di specie, la rimodulazione dei servizi cui preporre tra l’altro anche il medesimo)”. E’ legittimo per il ricorrente “mettere in discussione la presupposta sussistenza di poteri dirigenziali sufficientemente idonei ad effettuare una simile rimodulazione organizzativa”. Per cui l’accertamento della illegittimità dell’atto di nomina determina come conseguenza che il provvedimento nello specifico giudicato lesivo della posizione giuridica del ricorrente deve essere dichiarato illegittimo.

Il principio di maggiore rilievo affermato dalla sentenza è che solo gli appartenenti al corpo della polizia locale possono essere incaricati di svolgere le funzioni di comandante della polizia locale. Leggiamo testualmente al riguardo che “la funzione di Comandante dei Vigili Urbani può essere assunta soltanto da personale dei ruoli della stessa polizia locale. Ciò è espressamente previsto dalla legge regionale n. 42 del 2013. .. la ratio di tale scelta legislativa risiede nel fatto che il personale dei ruoli della PM viene originariamente reclutato con certi criteri e secondo determinati profili professionali e formativi, tali da poter svolgere funzioni di polizia giudiziaria, di sicurezza pubblica e stradale (mansioni di una certa delicatezza che non sono abilitati a svolgere funzionari e dirigenti di altri settori ordinari dell’ente). Del resto, in caso di assenza o impedimento del comandante possono sopperire solo il vice comandante oppure, in assenza anche di quest’ultimo, il personale comunque del Corpo o Servizio di polizia locale (cfr. art. 5, comma 5, della citata legge regionale n. 42 del 2013). Né potrebbe valere quanto previsto dalla legge n. 208/2015, comma 221, il quale prevede in particolare al secondo periodo che: Allo scopo di garantire la maggior flessibilità della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici, il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito senza alcun vincolo di esclusività anche ai dirigenti dell’avvocatura civica e della polizia municipale. Dunque i dirigenti della PM e dell’avvocatura comunale possono eccezionalmente assumere la direzione di uffici ordinari dell’ente ma non anche il contrario (ossia dirigenti esterni alla PM non possono diventare comandanti della stessa). Depone in tal senso, innanzitutto, la formulazione letterale della disposizione secondo cui può essere attribuito il conferimento degli incarichi dirigenziali, ma non anche il ruolo di avvocato dell’ente oppure di comandante della polizia locale.. Sul piano logico e sistematico, la ragione giustificatrice alla base di tale divieto di inversione (dirigenti di struttura oppure anche della avvocatura che assumano incarico di comandante della polizia locale) risiede pur sempre nella constatazione che i medesimi – al netto di ogni caso particolare – non sono in via generale stati formati e reclutati per assumere e svolgere determinate specifiche funzioni di polizia giudiziaria, di sicurezza pubblica e stradale. In altre parole la richiamata disposizione ha consistenza di norma derogatoria ed eccezionale, rispetto alla ordinaria assegnazione delle funzioni dirigenziali (a seguito di procedura pubblicistica e comunque a dirigenti appartenenti ai relativi ruoli dell’amministrazione), e dunque di stretta interpretazione. Interpretazione che, per le ragioni sopra esposte, va intesa in chiave soltanto unidirezionale (dirigenti avvocatura e della polizia locale che assumono temporaneamente funzioni dirigenziali ordinarie) e non bidirezionale (dirigenti amministrativi e della polizia locale che assumono funzioni di avvocato dell’ente oppure dirigenti amministravi e della avvocatura che assumono le funzioni di comandante della Polizia Locale), e ciò proprio per la specificità sopra ricordata delle funzioni riservate a tali peculiari organi della PA (avvocatura e polizia locale). A ciò si aggiunga che l’attuale comandante della PM è stato originariamente reclutato nella PM ma è poi transitato, previo concorso, nei ruoli della avvocatura comunale. Pertanto non è più nei ruoli della PM così perdendo non solo gradi ed inquadramento ma anche le specifiche funzioni di polizia giudiziaria”.

 

 

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