Il Commento – Il danno da disservizio: nozione, casistica e prova

di G. Crepaldi (www.ilpersonale.it 23/3/2016)

Nella giurisprudenza contabile ha trovato origine e preso via via corpo il concetto di danno da disservizio, normalmente ravvisabile nel mancato conseguimento da parte dei dipendenti pubblici, della legalità, dell’efficienza, dell’economicità e della produttività dell’azione amministrativa (Corte dei Conti, sez. giur. centrale d’appello, 24 febbraio 2009, n. 97).
La Corte dei conti tende, tuttavia, a riconoscere alla nozione di danno da disservizio una natura aperta e flessibile, ammettendo che esso possa assumere diverse declinazioni (Corte dei conti, sez. giur. Lombardia, 27 luglio 2015, n. 135). Così, il danno da disservizio può corrispondere agli oneri sostenuti dall’amministrazione danneggiata per lo svolgimento delle verifiche e delle indagini da parte di organismi speciali, come delle commissioni costituite ad hoc, la cui spesa deve essere addebitata al responsabile del danno pubblico.
Fra le possibili declinazioni del danno da disservizio perseguibile dinanzi alla Corte v’è anche quella che prende la forma di un’intenzionale discriminazione da parte del pubblico funzionario fra le pratiche da istruire, a seconda che si tratti di questioni o affari considerati, secondo personalistici (e come tali inammissibili) punti di vista, “maggiori” o “minori”, oppure la forma della necessitata concentrazione dell’attenzione sulle pratiche già istruite dalla persona sotto inchiesta, e come tali indiziate di essere state essere pure gestite in modo irregolare, piuttosto che su quelle nuove la cui istruttoria si è trovata per conseguenza a subire degli evitabili rallentamenti).

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