Via libera al danno all’immagine? Il Commento di D. Antonucci

di D. Antonucci

Nel “decreto anticrisi” n. 78/2009, la legge di conversione n. 102/2009 aveva inserito all’art. 17 il comma 30-ter (c.d. “Lodo Bernardo”), in base al quale le procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine causato alla P.A. “nei soli casi e nei modi previsti” dall’art. 7 della legge n. 97/2001, vale a dire nei soli casi in cui il dipendente sia stato condannato, con sentenza irrevocabile, per uno dei delitti di cui al Capo I, Titolo II del codice penale, cioè quelli commessi contro la P.A. da pubblici ufficiali (artt. 314-335-bis c.p.).
La stessa disposizione, conseguentemente, dispone la sospensione, fino alla conclusione del procedimento penale, del termine quinquennale di prescrizione per l’azione di risarcimento del danno erariale e sancisce, al contempo, la nullità di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione di questa previsione.
La diminuzione tipologica dei reati rispetto ai quali è possibile configurare un danno all’immagine ha comportato in questi anni un’intuitiva limitazione nelle richieste risarcitorie per le Procure regionali della Corte dei conti, anche perché la nuova previsione ha superato indenne il vaglio di costituzionalità. La Consulta, infatti, con la nota sentenza n. 355/2010, ha affermato che il Legislatore ha inteso “circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa”, facendone conseguire che “la norma deve essere univocamente interpretata… nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria”.
Le Sezioni Unite della Cassazione, in varie pronunce (nn. 14831/2011; 5756/2012; 9188/2012; 20728/2012), hanno rilevato come la norma configurasse una condizione di proponibilità della azione di responsabilità amministrativa, affermando che “la  condanna per danno all’immagine dello Stato, allorché non vi sia stato un accertamento di uno dei delitti tassativamente indicati dalla  legge come fonte di tale danno non patrimoniale da parte del giudice penale da porre a presupposto del giudizio di responsabilità amministrativa, dà luogo ad un eccesso di potere esterno della  Corte dei conti, che emette una condanna vietata per legge, erogando una tutela ad essa non consentita di posizioni soggettive dello Stato non giustiziabili”.

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