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Nella «Pa» nessun limite per i disabili
Categorie protette. Nel Dl sul pubblico impiego la deroga al divieto di nuove assunzioni

Fonte: Il Sole 24 Ore

Le amministrazioni pubbliche devono rideterminare il numero delle assunzioni obbligatorie delle categorie protette in base alla dotazione organica rivista a seguito delle misure di contenimento della spesa e procedere all’assunzione di disabili che consentano di colmare il divario fra il numero così rideterminato e quello dei lavoratori soggetti al collocamento obbligatorio già in forza. La disposizione, introdotta dall’articolo 7 del Dl 101/13, deroga agli attuali divieti di nuove assunzioni anche nel caso in cui l’amministrazione interessata sia in soprannumero.
L’articolo 9, comma 4-ter, del Dl 76/13 inseriscea sua volta nell’articolo 3 del Dlgs 216/03 il comma 3-bis, secondo cui i datori di lavoro privati e pubblici sono tenuti ad introdurre misure “ragionevoli” per garantire ai disabili la parità rispetto agli altri lavoratori impiegati in azienda. I datori di lavoro potranno contare sull’aumento della dotazione del fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui all’articolo 13, comma 4, della legge 68/99, pari a 10 milioni per il 2013 e a 20 per il 2014, prevista dal comma 4-ter dello stesso articolo 9.
Si ricorda che la Corte di giustizia europea ha condannato il 4 luglio 2013 il nostro Paese (C-312/11) perché le norme nazionali sul diritto al lavoro delle persone disabili non rispettano l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, la quale stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia d’occupazione e condizioni di lavoro. Il nostro Paese è stato condannato perché non ha imposto «a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili». Secondo la Corte la nozione di “handicap” si riferisce ad una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Secondo la direttiva 2000/78/CE , recepita con il Dlgs 216/03, la messa a punto di misure che tengano conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro ha un ruolo importante nella lotta alla discriminazione fondata sull’handicap. La direttiva sancisce pertanto, l’obbligo di mettere in atto misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o d’inquadramento.
Sull’argomento la Corte di giustizia europea è intervenuta anche con la sentenza dell’11 aprile 2013 (C 335/2011) sottolineando la prevalenza degli accordi internazionali, conclusi dall’Unione, sulle norme di diritto derivato e la conseguente interpretazione di queste ultime in maniera per quanto possibile conforme a detti accordi. Avendo la Ue approvato, con la decisione 2010/48 la Convenzione dell’Onu, la direttiva 2000/78 nonché la norma nazionale di recepimento devono essere oggetto di un’interpretazione conforme a tale Convenzione.
L’inserimento del comma 3-bis nel contesto del Dlgs 216/03 fa si che l’inosservanza dell’obbligo di adottare «accomodamenti ragionevoli» nei luoghi di lavoro può comportare l’applicazione della tutela giurisdizionale di cui all’articolo 4 dello stesso decreto, che può essere delegata anche alle organizzazioni sindacali e alle associazioni e alle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione.


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