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L’attività prestata a titolo di volontariato in comune: sino a che punto è legittima?
Il Commento di L. Boiero
Scorrendo le pagine di internet,  con grande facilità,  si trovano regolamenti che prevedono il coinvolgimento,  a titolo gratuito,  di soggetti che prestano la loro opera a favore della PP.AA. nel proprio  tempo libero. Ma sino a che punto questo è legittimo? E soprattutto, quali sono gli obblighi del comune nei confronti di questi “benefattori”?

di L. Boiero

Scorrendo le pagine di internet,  con grande facilità,  si trovano regolamenti che prevedono il coinvolgimento,  a titolo gratuito,  di soggetti che prestano la loro opera a favore della PP.AA. nel proprio  tempo libero. Ma sino a che punto questo è legittimo? E soprattutto, quali sono gli obblighi del comune nei confronti di questi “benefattori”?

La  “legge quadro sul volontariato” (l. n. 266/1991)  prevede che è “attività di volontariato” quella “prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”, specificando vieppiù che essa “non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse” (art. 2, commi 1 e 2, l. n. 266/1991). All’art. 17,  viene sancito che i “lavoratori che facciano parte di organizzazioni iscritte nei registri di cui all’articolo 6, per poter espletare attività di volontariato, hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.”.

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Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego

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