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Madia: la staffetta generazionale ci sarà. Abbiamo frenato le lobby e lo faremo ancora

L’intervista «Stop alle rendite di posizione nella Pubblica amministrazione. Con il decreto entro il 2018 potrebbero andare in pensione 60 mila statali»

Fonte: Corriere della Sera

ROMA – Allora, ministro Marianna Madia, sono stati tutti accolti i rilievi del capo dello Stato sul decreto legge per la pubblica amministrazione?

«Non parlerei di rilievi. Con il presidente della Repubblica abbiamo avuto un’interlocuzione continua, anche io personalmente l’ho incontrato al Quirinale prima del consiglio dei ministri del 13 giugno. Ma non c’è stato un momento in cui il Quirinale ha detto “no”, non ci sono state osservazioni su alcuni punti precisi».

Come è possibile, allora, che siano passati 11 giorni prima di arrivare alla firma di Giorgio Napolitano? «I provvedimenti sono molto corposi, il coordinamento è stato molto complesso».

Su alcune misure, come la chiusura delle sedi distaccate dei Tar, i tribunali amministrativi regionali, il Quirinale sembrava preferire uno spostamento dal decreto legge al disegno di legge delega. «Non ce l’ha mai chiesto. Quella misura è nel decreto legge, come deciso dal consiglio dei ministri. Come anche il commissariamento del Formez, la scuola unica della pubblica amministrazione e l’obbligo del fuori ruolo, al posto della semplice aspettativa, per i magistrati che ricoprono un incarico di vertice nella pubblica amministrazione». Su questi punti, dunque, i dubbi del Quirinale non hanno portato a modifiche.

«Ripeto, abbiamo lavorato insieme per trovare la soluzione migliore».

Le pressioni delle lobby ci sono state?

«(Ride). Messa così sembra il titolo di un film. Comunque sì, sicuramente sì. Ci sono state, ci sono adesso e ci saranno ancora. Mi auguro che il Parlamento, nel corso della conversione in legge, non annacqui le norme ma le migliori». Da chi sono arrivate le pressioni più forti?

«Tutti i gruppi che vengono toccati da una riforma ti raccontano le motivazioni per cui sarebbe meglio non farla».

Provo ad aiutarla io. Magistrati e militari sono gli unici per i quali il trattenimento in servizio, cioè la possibilità di restare al lavoro dopo aver raggiunto l’età della pensione, non finirà ad ottobre di quest’anno ma alla fine del 2015.

«È una deroga ragionevole, che non avvilisce il principio ma che consente di avviare il ricambio generazionale in maniera costruttiva e non distruttiva».

Nelle prime bozze la deroga per i magistrati valeva solo per chi aveva incarichi direttivi. Adesso riguarda tutta la categoria. Una concessione per compensare il «no» ad una deroga più lunga, non al 2015 ma al 2017?

«No, con regole diverse per chi ha incarichi direttivi e chi no ci sarebbe stato il rischio di incostituzionalità».

Resta il fatto che le norme sulle quali vi siete concentrati in questi giorni riguardano alcune categorie di peso, come i magistrati e i militari, oppure i vertici della pubblica amministrazione. Per le novità che toccano la base, come la mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri, non c’è stata discussione.

«Contesto questa lettura. Se si dà un anno in più ai magistrati non è per fare un favore a questa o a quella persona. Ma solo per dare continuità agli uffici giudiziari che, altrimenti, avrebbero rischiato la paralisi. E questo sarebbe stato un problema non per i vertici della magistratura ma per tutti i cittadini».

Dopo il consiglio dei ministri avevate detto che cancellare il trattenimento in servizio avrebbe liberato 15 mila posti per i giovani. Con queste ultime modifiche saranno diventati meno.

«Ho sempre parlato di un numero variabile tra 10 mila e 15 mila. Ed è impossibile dare una cifra precisa. Resta il fatto che con la cancellazione del trattenimento in servizio ed una maggiore flessibilità del turn over c’è un’inversione di tendenza: rompiamo alcune rendite di posizione e diamo un’opportunità a chi in questi anni ne ha avute pochissime».

Non è che a questo punto, per far quadrare i conti, torna l’ipotesi dei prepensionamenti, archiviata per evitare distorsioni rispetto al settore privato?

«No, se si riferisce al cosiddetto esonero dal servizio, cioè all’ipotesi di non lavorare e prendere ancora una parte dello stipendio nell’ultima parte della carriera. Abbiamo evitato qualsiasi disparità di trattamento con il settore privato. Per questo, proprio come già avviene nel privato, le singole amministrazioni potranno mandare via unilateralmente chi ha raggiunto il massimo dell’anzianità contributiva».

E quanti potrebbero lasciare seguendo questo canale?

«Difficile dirlo. In teoria, da qui al 2018, le persone coinvolte sono 60 mila. Ma l’effetto reale è difficile da misurare: alcuni sarebbero andati via lo stesso, mentre non possiamo prevedere in anticipo quante amministrazioni useranno questa possibilità».

La pubblica amministrazione non potrà dare più incarichi ai pensionati. Ma questo non vale per gli organi costituzionali e nemmeno per quelli autonomi, come la Banca d’Italia. L’esempio non dovrebbe venire dall’alto?

«In questi casi non possiamo intervenire, violeremmo la Costituzione. Mi piacerebbe che, in un Paese dove la disoccupazione è altissima, si tendesse a dare opportunità ai giovani piuttosto che dare incarichi a chi ha lavorato già. E sono sicura che, autonomamente, anche gli organi che lei ha citato faranno la loro parte».

Ai pensionati, però, tutte le amministrazioni potranno dare incarichi gratuiti. Non si chiudono così quegli spazi per i giovani che voi dite di voler aprire?

«No perché chi lavora a titolo gratuito non toglie il posto ad altri: il calcolo del turn over non si baserà più sul numero delle persone che entrano ed escono ma sulle risorse necessarie per pagare i relativi stipendi. E poi l’esperienza di chi ha lavorato a lungo è molto importante. Chi vuole continuare a dare il suo contributo, magari affiancando chi è appena arrivato, deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare. È una specie di volontariato».

Siamo quasi alla fine di giugno. Il Parlamento farà in tempo a convertire il decreto in 60 giorni, anzi meno, considerando la pausa estiva?

«Nella mia testa il cronoprogramma è questo: conversione del decreto prima della pausa. Tra settembre e dicembre approvazione della legge delega. Entro la fine del 2015 messa a regime con tutti i decreti attuativi».

Avevate detto che avreste fatto leggi «autoapplicative», cioè senza il bisogno di quei decreti ministeriali che poi sono sempre in ritardo.

«Li abbiamo limitati al massimo, mi creda. Ma eliminarli del tutto non è possibile».


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