MAGGIOLI EDITORE - ilPersonale.it


La monetizzazione delle ferie è dovuta nei casi in cui la mancata fruizione delle stesse è dipesa da un evento non imputabile a colpa del dipendente
Il diritto al compenso sostitutivo discende direttamente dall'incolpevole mancato godimento. L'analisi della giurisprudenza e della prassi prevalente

La monetizzazione delle ferie è riconosciuta in favore del dipendente pubblico nei casi in cui la mancata fruizione delle stesse è dipesa da un evento non imputabile a colpa del dipendente.
Tale orientamento è contenuto nella recente sentenza n. 326 del 24 febbraio 2021 della Terza Sezione del TAR Puglia – Bari, la quale ha dichiarato illegittimo il provvedimento con il quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Centro Nazionale Amministrativo, ha opposto un diniego in ordine ad una istanza avanzata da un sottufficiale, tendente ad ottenere la monetizzazione delle ferie non godute, nel caso in cui, pur avendo l’interessato manifestato in maniera inequivocabile la volontà di usufruire del residuo periodo di ferie, non è stato materialmente posto nella condizione di beneficiare delle ferie, perché, in particolare, a seguito dell’abbassamento delle note caratteristiche, è stato obbligatoriamente collocato in congedo; in tal caso, infatti, la mancata fruizione dei giorni di ferie è dipesa da un evento non imputabile a colpa del dipendente.
Ha osservato, in particolare, la predetta sentenza che la monetizzazione delle ferie non godute è stata oggetto di un intervento legislativo relativamente recente atto a vietare l’applicazione dell’istituto in avvenire per esigenze di carattere finanziario.
In merito, l’art. 5, comma 8 del decreto legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede che “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile. Il presente comma non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie.”
Tale disciplina legislativa è stata riconosciuta legittima dalla Corte costituzionale la quale ha ribadito che il diritto alle ferie, riconosciuto a ogni lavoratore, senza distinzioni di sorta (1), mira a reintegrare le energie psico-fisiche del lavoratore e a consentirgli lo svolgimento di attività ricreative e culturali, nell’ottica di un equilibrato «contemperamento delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore» (2). La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha rafforzato i connotati di questo diritto fondamentale del lavoratore e ne ha ribadito la natura inderogabile, in quanto finalizzato a «una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute» (3). Tale diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata in relazione ad una controversia proposta da un dirigente medico collocato a riposo il quale aveva dedotto di non aver fruito, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, di 222 giorni di ferie, a causa delle patologie dalle quali era affetto.
La medesima Corte costituzionale ha ritenuto che il diritto alle ferie, di carattere inderogabile, sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore. Pertanto, il giudice delle leggi ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento agli artt. 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione – dell’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, il quale stabilisce, nell’àmbito del lavoro pubblico, che le ferie, i riposi e i permessi siano obbligatoriamente goduti secondo le previsioni dei rispettivi ordinamenti e che non si possano corrispondere «in nessun caso» trattamenti economici sostitutivi. La prassi amministrativa e la magistratura contabile convergono infatti nell’escludere dall’àmbito applicativo del divieto in questione le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro. Questa interpretazione si colloca, peraltro, nel solco tracciato dalle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, che riconoscono al lavoratore il diritto di beneficiare di un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti una previsione negoziale esplicita che consacri tale diritto, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di “monetizzare” le ferie (4).

In merito, anche la giurisprudenza amministrativa ha inteso la suddetta normativa nel senso che “Il diritto alla monetizzazione del congedo ordinario (non fruito) matura ogni qualvolta il dipendente non ne abbia fruito (ovvero non abbia potuto disporre e di godere delle sue ferie) a cagione di obiettive esigenze di servizio e comunque per cause da lui non dipendenti o a lui non imputabili. Quindi, il divieto di monetizzazione delle ferie di cui all’art. 5, comma 8, decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 va interpretato nel senso che tale disciplina non pregiudica il diritto alle ferie ove prevede che non si possano corrispondere in nessun caso trattamenti economici sostitutivi, giacché correla il contestato divieto a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentono di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito ai periodi di riposo, sicché la norma in parola va interpretata come diretta a reprimere il ricorso incontrollato alla monetizzazione delle ferie non godute, contrastandone gli abusi, e a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole”.
Pertanto, il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute dal pubblico dipendente, anche in mancanza di una norma espressa che preveda la relativa indennità, discende direttamente dallo stesso mancato godimento delle ferie, in armonia con l’art. 36 Cost. quando sia certo che tale vicenda non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia a lui comunque imputabile (5). Dunque, nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie da parte del pubblico dipendente non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore (6).
Tale orientamento è stato ribadito anche dalla prassi con il parere del Dipartimento della funzione pubblica DFP-0076251-P-26/11/2020, secondo cui l’articolo 5, comma 8, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 951, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che è stato confermato in tutti contratti collettivi nazionali, escluderebbe dal divieto di pagamento di trattamenti economici sostitutivi solo quelle cause estintive del rapporto di lavoro indipendenti sia dalla volontà del dipendente che dalla capacità organizzativa del datore di lavoro. Infatti, ribadisce il medesimo Dipartimento della funzione pubblica che la predetta disposizione, inserita in un testo normativo recante misure di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica, tende a limitare le ipotesi di monetizzazione delle ferie, soprattutto allorquando la mancata fruizione sia dipesa dall’assenza di programmazione e di controlli da parte delle amministrazioni, anche relativamente al mancato rispetto delle clausole previste dalla disciplina negoziale sul tema del riporto delle ferie non fruite nell’annualità successiva (7).

>> IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA.

——

NOTE

(1) CORTE COSTITUZIONALE, sentenza n. 189 del 1980.
(2) CORTE COSTITUZIONALE, sentenza n. 66 del 1963.
(3) CORTE DI GIUSTIZIA, sentenza 26 giugno 2001, in causa C-173/99, BECTU, punti 43 e 44; Grande Sezione, sentenza 24 gennaio 2012, in causa C-282/10, Dominguez.
(4) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. lavoro, sentenza 19 ottobre 2000, n. 13860; CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sentenza 8 ottobre 2010, n. 7360.
(5) TAR PIEMONTE, SEZ. I – sentenza 8 aprile 2019 n. 422; CONSIGLIO DI STATO, V, Sentenze 10 luglio 2000, n. 3847 e 6 settembre 2000, n. 4699; CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, sentenza 3 ottobre 2000, n. 5248; CONSIGLIO DI STATO, Sez., V, Sentenza n. 1230/2001.
(6) CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO – ordinanza 30 luglio 2018 n. 20091.
(7) DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA: parere n. 40033 dell’8 ottobre 2012.


https://www.ilpersonale.it