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Cambiano flessibilità e sussidi ma resta il nodo degli statali
La riforma tocca vari aspetti dell'attuale sistema L'entrata in vigore sarà graduale
Per i dipendenti pubblici arriveranno regole specifiche

Fonte: Il Messaggero

Il capitolo più caldo è certamente l’articolo 18, ma il progetto di riforma del governo è molto più ampio.
Vengono rivisti diversi aspetti delle norme che attualmente disciplinano il mercato del lavoro: dalla flessibilità in entrata, all’apprendistato, al riordino degli attuali ammortizzatori sociali compresa la cassa integrazione, fino al fondo che dovrà in qualche modo tutelare i lavoratori anziani.
Perché tutte le novità vadano a regime serviranno alcuni anni.
In questi ambiti, e in particolare proprio per quel che riguarda l’applicazione dell’articolo 18, resta da verificare la posizione dei dipendenti pubblici.
Il governo aveva fatto capire che non dovrebbero essere compresi nella nuova disciplina, ma ieri Elsa Fornero, ricordando che la pubblica amministrazione non fa parte del suo mandato ed è di competenza del suo collega Patroni Griffi, ha precisato che l’esecutivo «valuterà cosa deve essere fatto» in considerazione del fatto che questi lavoratori ricadono in «ordinamenti diversi» rispetto a quelli privati.

APPRENDISTATO

Diventa la principale forma di avvio all’attività lavorativa

ROMA – In un contesto in cui il contratto a tempo indeterminato deve essere quello dominante perché aiuta la produttività e quindi la competitività, l’apprendistato – articolato nelle varie tipologie contrattuali previste – diventa la formula principale di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani.
In pratica il primo step verso un’assunzione a tempo indeterminato.
L’azienda che vuole prendere dei nuovi apprendisti – se già ne ha utilizzati altri – dovrà averne stabilizzato una certa quota nel passato recente.
E’ eliminata la figura del referente, mentre viene introdotta quella del tutore obbligatorio.
Gli incentivi contributivi restano gli attuali.
Gli apprendisti faranno parte della platea che, in caso di perdita di lavoro, è tutelata dall’Aspi, la nuova assicurazione per l’impiego.

CONTRATTI A TERMINE

Assunzioni più onerose salvi i lavoratori stagionali

ROMA – La riforma non fa scomparire le varie tipologie di contratto a tempo determinato, ma introduce vincoli per evitare abusi e utilizzi eccessivi.
Assumere con questo tipo di contratti costerà di più a livello contributivo: sarà applicata un’aliquota addizionale dell’1,4% (che si somma a quella dell’1,3%).
Dalla maggiorazione sono esclusi i contratti stagionali e sostitutivi.
Per contrastare «la reiterazione», viene confermata l’attuale normativa che prevede che il contratto a tempo determinato non può durare cumulativamente più di 36 mesi, altrimenti scatta l’assunzione a tempo indeterminato.
Se la trasformazione avviene per scelta, la riforma prevede un premio di stabilizzazione: l’azienda potrà recuperare sei mesi di aliquota contributiva aggiuntiva precedentemente versata.
Per i contratti part-time e quelli intermittenti sono previsti maggiori vincoli.

PARTITE IVA

Dopo 6 mesi lavoro subordinato ma non per le professioni

Ridurre l’uso improprio delle Partite Iva che spesso nascondono rapporti di lavoro subordinati anziché di collaborazione esterna.
E’ lo scopo della stretta che la riforma imporrà sui contratti flessibili.
Nel caso delle Partite Iva, se la prestazione è rivolta verso un unico committente per sei mesi o se il lavoratore ricava il 75% del reddito da un’unica fonte, quel lavoro sarà considerato automaticamente subordinato.
A questa regola però non dovranno sottostare le Partite Iva iscritte agli albi professionali delle professioni ordinistiche: avvocati, architetti, ingegneri, giornalisti e via discorrendo.
In questo caso, è la stessa iscrizione all’albo a configurare la prestazione come professionale e quindi estranea al rischio di usi impropri o arbitrari da parte del committente.
Il chiarimento risolve molti dubbi per gli studi professionali.

FONDO ANZIANI

A quattro anni dalla pensione possibile l’uscita anticipata

ROMA – Il combinato disposto tra il nuovo schema degli ammortizzatori sociali, dei licenziamenti e della riforma della previdenza varata a fine 2011 dal governo Monti, potrebbe comportare difficoltà per i lavoratori intorno ai 60 anni di età.
Se l’azienda entra in crisi potrebbero essere i primi nella lista degli esuberi.
Una volta scomparsa l’indennità di mobilità, sarebbero coperti per un periodo troppo breve (18 mesi) per arrivare alla pensione.
Nasce così l’idea del fondo per incentivare l’esodo degli anziani.
Sarà facoltativo e a carico dell’azienda che verserà mensilmente all’Inps la provvista per una prestazione economica pari alla pensione che questi lavoratori avrebbero preso in base alla normativa vigente, più la contribuzione figurativa.
Ne potranno usufruire i lavoratori a cui mancano 4 anni per andare in pensione secondo la nuova normativa.

ASPI

Indennità per chi perde il posto tetto a 1.119 euro al mese

L’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) è lo strumento destinato a sostenere il reddito dei lavoratori che perdono il posto.
Tra gli ammortizzatori si distingue quindi dalla cassa integrazione che è un sussidio a fronte della riduzione temporanea di domanda.
Come ha precisato ieri Elsa Fornero l’Aspi partirà dal prossimo anno e sarà universale, riguarderà tutti i lavoratori.
Ci sarà anche una sorta di mini-Aspi per i lavoratori precari.
La differenza è che la normale Aspi richiede almeno 52 settimane di lavoro in un biennio, mentre per la forma ridotta ne basteranno 13 in un anno.
L’assegno coprirà un periodo di 12 mesi (18 per chi ha più di 55 anni) e sarà pari al 70 per cento delle retribuzioni dei primi due anni; la percentuale è destinata a scendere del 15 % ogni sei mesi.
Il tetto massimo è di 1.119 euro al mese.

CASSA INTEGRAZIONE

Resta la Cig straordinaria ma l’utilizzo sarà limitato

ROMA – La tutela del posto di lavoro, nel momento in cui un’azienda entra in crisi, sarà assicurata solo quando c’è la possibilità reale che l’azienda si riprenda e non fallisca.
Rimane quindi in vigore la cassa integrazione ordinaria.
Resta anche la cassa integrazione straordinaria, ma non potrà essere utilizzata per la causale cessazione attività.
Scompare invece la cassa in deroga utilizzata per le piccole aziende e attualmente a completo carico della fiscalità generale.
Tutte le imprese, anche artigiani e commercianti che finora pagavano solo lo 0,40%, dovranno versare i contributi per finanziare il sistema, che sono pari all’1,3%.
Si sta trattando affinché l’aggravio di costo nel periodo di transizione sia meno oneroso per le aziende con meno di 15 dipendenti.

DONNE

Per i padri è in arrivo il congedo obbligatorio

La maternità «non è solo una questione di donne».
E’ per questa ragione che il ministro del lavoro, che è anche ministro delle Pari opportunità, ha voluto introdurre un primo pacchetto di misure che favoriscano la conciliazione tra lavoro e famiglia.
Torna quindi la norma contro le dimissioni in bianco che le aziende, a volte, chiedono alle donne per poterle poi mandare via in occasione della maternità.
Con la riforma, ciò non sarà più possibile.
L’altra novità, in via sperimentale per tre anni, riguarda il congedo obbligatorio di paternità: anche i padri, per qualche giorno, dovranno restare a casa per accudire i figli.
Il costo sarà finanziato dal ministero del lavoro.
Oggi il congedo è facoltativo e pochi padri ne usufruiscono diversamente da quanto succede in altri Paesi europei.

PUBBLICO IMPIEGO

Per l’esclusione dalle novità serve una deroga esplicita

È ancora da precisare la situazione dei dipendenti pubblici rispetto alle nuove norma sulla flessibilità in uscita.
Attualmente i pubblici sono pienamente inclusi nelle tutele dello Statuto dei lavoratori, come confermato anche da una legge del 2001.
Dunque le modifiche allo Statuto dovrebbero comprendere una deroga esplicita per gli statali, per garantire loro un livello di tutela diverso da quello riconosciuto alla generalità dei lavoratori.
Per quanto riguarda i licenziamenti economici, la pubblica amministrazione dispone di una sua procedura per la messa in mobilità e poi il licenziamento degli esuberi; procedura che risale anch’essa al 2001 ma che praticamente non è mai stata applicata, anche se la scorsa estate è stata resa più facile con la cancellazione dell’obbligo di consultare il sindacato.


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