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L'articolo 18 si applica agli statali
Il ministro Patroni Griffi conferma e anticipa gli approfondimenti annunciati da Fornero

Fonte: Italia Oggi

L’articolo 18 si applica anche al lavoro pubblico. Lo ha confermato il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi, con una lettera aperta pubblicata ieri sui giornali. Confermando quanto ItaliaOggi ha avuto modo di chiarire più volte (si vedano i numeri del 17 febbraio e del 23 marzo 2012).
L’intervento sulla stampa di Palazzo Vidoni sembra inizialmente tendere verso la soluzione opposta. Il ministro si meraviglia del dibattito sorto in merito all’applicabilità o meno dell’articolo 18 ai pubblici dipendenti, considerandolo «fuorviante».
Ma la lettera aperta, che sostanzialmente anticipa gli «approfondimenti» annunciati in tema dal ministro Fornero, non poteva che riportare la realtà dei fatti, che è quella discendente direttamente dalla legge. Il ministro Patroni Griffi, infatti, con riferimento ai dipendenti poco capaci ha affermato che «i licenziamenti discriminatori hanno una disciplina identica nel settore pubblico e nel settore privato. I licenziamenti disciplinari nel settore pubblico hanno poi una disciplina molto dettagliata proprio per evitare che possano essere utilizzati per finalità diverse»; a conferma dell’inevitabile simmetria della disciplina dei licenziamenti.
Quanto, invece, alle «ragioni economiche», Patroni Griffi prova a fare dei distinguo: «Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o economico non può trovare applicazione nel pubblico in quanto in questi casi c’è una disciplina ad hoc che riguarda i casi in cui le pubbliche amministrazioni abbiano situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria». Si tratta solo di una sottigliezza tecnica. Il ministro afferma che nella p.a. non opera il motivo economico, ma poche parole dopo non può che ammettere la sussistenza del licenziamento per ragioni finanziarie, previsto espressamente dall’articolo 33 del dlgs 165/2001. Ci si deve riferire alle ragioni «finanziarie», invece che a quelle «economiche», per una ragione estremamente semplice: le amministrazioni pubbliche hanno una contabilità appunto solo finanziaria, posta, cioè, a misurare solo i volumi di entrata e spesa del denaro, senza riferirsi a grandezze economiche (costi, ammortamenti, scorte ecc.), utilizzate solo a corredo dei bilanci, impostati sulla parità finanziaria.
È evidente che un’amministrazione pubblica non può ritrovarsi in ambasce economiche per carenza di fatturato o ritardi nell’acquisizione dei pagamenti dei clienti o per crisi della domanda rispetto ai beni e servizi che produce. Per questo, correttamente, il citato articolo 33 del dlgs 165/2001 considera possibile il licenziamento anche individuale per giustificato motivo oggettivo dettato dalla «situazione finanziaria». Per esemplificare, un ente locale in dissesto o che non abbia rispettato il patto di stabilità, alla luce di tale norma non solo può, ma deve verificare la possibilità di alleggerire la spesa del personale collocando i propri dipendenti in esubero e in disponibilità, cioè sospendendo ogni prestazione lavorativa per 24 mesi, riducendo il trattamento economico all’80% di quello fondamentale e giungendo al licenziamento se nel frattempo il dipendente non sia stato trasferito presso qualche altra amministrazione. Paradossalmente, davanti al giudice del lavoro un licenziamento per la «situazione finanziaria» di un ente pubblico può trovare, ai sensi della riforma paventata dell’articolo 18, tutela di molto inferiore a quella dovuta alle ragioni economiche di un ente privato. Infatti, la «situazione finanziaria» negativa di un’amministrazione pubblica non può che essere sorretta da atti pubblici, asseverati dagli organi di controllo amministrativo e contabile, tale che sostanzialmente risulterebbe impossibile in sede giurisdizionale accertare la simulazione di ragioni discriminatorie o disciplinari. Per queste ragioni, anche se ancora l’articolo 18 non è stato riformato, nei confronti dei dipendenti pubblici opera già a partire dall’entrata in vigore della legge 183/2011 una disciplina di maggior rigore rispetto al lavoro privato, qualora intervengano licenziamenti per ragioni finanziarie.


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