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Il divieto di monetizzazione delle ferie negli Enti locali e i suoi limiti
La ricostruzione della legge, del contratto, della giurisprudenza: istruzioni operative

Prima di procedere con l’analisi dell’istituto, occorre effettuare una breve premessa mediante una rivisitazione di quelli che sono i caratteri essenziali dell’istituto delle ferie che emergono dalle norme Costituzionali, dalla legge, come anche dai contratti collettivi del comparto.

•Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite costituisce un principio costituzionale che è sancito dall’art. 36, Costituzione il quale al comma 3 ne dichiara l’irrinunciabilità. Le ferie, infatti, servono a reintegrare le energie psicofisiche spese nella prestazione lavorativa da parte del lavoratore ed insieme a garantire al medesimo la partecipazione alla vita familiare e sociale. Se la fruizione delle ferie è diritto irrinunciabile, qualsiasi eventuale patto contrario, sia esso contenuto in un contratto collettivo o in un contratto individuale, è nullo.

•L’art.5, comma 8, della legge n.135/2012 ha disposto il divieto di monetizzazione delle ferie non godute dei pubblici dipendenti, salvo i limitati casi in cui questa possa ritenersi ancora possibile sulla base delle citate previsioni legislative e delle indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con le note n.32937 del 6.8.2012 e n.40033 dell’8.10.2012.

In tal senso si richiamano, anche, alcune recenti indicazioni contrattuali:
• la disposizione dell’art. 28, comma 11, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, secondo la quale: “11. Le ferie maturate e non godute per esigenze di servizio sono monetizzabili solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti delle vigenti norme di legge delle relative disposizioni applicative.”;
• la Dichiarazione congiunta n.1, allegata al medesimo CCNL del 21 maggio 2018, che espressamente recita: “In relazione a quanto previsto dall’art. 28, comma 11, le parti si danno reciprocamente atto che, in base alle circolari applicative emanate in relazione all’art. 5, comma 8, del d.l. n.95 convertito nella legge n.135 del 2012 (MEF-Dip. Ragioneria Generale Stato prot. 77389 del 14.9.2012 e prot. 94806 del 9.11.2012-Dip. Funzione Pubblica prot.32937 del 6.8.2012 e prot. 40033 dell’8.10.2012), all’atto della cessazione del servizio le ferie non fruite sono monetizzabili solo nei casi in cui l’impossibilità di fruire delle ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente come nelle ipotesi di decesso, malattia e infortunio, risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità fisica permanente e assoluta, congedo obbligatorio per maternità o paternità

Nonostante quanto previsto dall’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012 che obbliga alla fruizione delle ferie i dipendenti della P.A. con il divieto della corresponsione di trattamenti economici sostitutivi, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2496/2018, e prima ancora con precedente sentenza n. 27206 del 2017, ha confermato sul punto alcuni importanti orientamenti che si esprimono nel senso di obbligare la PA alla remunerazione di eventuali ferie residue a prescindere dalla mancata richiesta avanzata dal dipendente durante il rapporto di lavoro, tutte le volte che la PA sia rimasta inerte rispetto alla concessione delle ferie al dipendente.

I giudici della Cassazione, esaminando il caso di specie, partono dalla questione di legittimità costituzionale sollevata in merito al d.l. 95/2016, precisando che la disciplina statale in questione come interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel senso di escludere dall’ambito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e soprattutto la capacità organizzativa del datore di lavoro. Più precisamente la Corte con la sentenza n. 2496 del 2018, ha stabilito che la Pubblica Amministrazione è obbligata al pagamento delle ferie residue del dipendente prossimo alla pensione, anche a prescindere dalla mancata richiesta avanzata dallo stesso durante il rapporto di lavoro.

Sul solco di precedenti orientamenti del giudice di legittimità, richiamati anche dalla Consulta, è stato affermato che dal mancato godimento delle ferie deriva diritto del lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, salvo se il datore di lavoro dimostri di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito.

Coerentemente con queste indicazioni anche nella precedente sentenza n. 27206/2017, la Cassazione ha giudicato legittimo il comportamento della PA che aveva sospeso il lavoratore, prossimo al pensionamento, al fine di fargli smaltire le ferie e i riposi compensativi residui. In questa circostanza la Suprema Corte ha concluso che, qualora nel corso del rapporto il dipendente non abbia fruito delle ferie e dei riposi compensativi nella misura contrattualmente prevista, il datore di lavoro è legittimato ad imporre la fruizione degli stessi, anche per prevenire richieste di pagamento dell’indennità sostitutiva le quali, appunto, sono state espressamente escluse dal d-l. 95/2012.

In altri termini, la posizione “colpevole” del lavoratore, per non aver richiesto la fruizione delle ferie residue, abilita il datore di lavoro pubblico alla richiesta obbligatoria di fruizione delle stesse anche prima del collocamento in pensione del dipendente. Su altri aspetti dell’Istituto, di recente, i magistrati contabili del Molise, con la deliberazione 98/2019, hanno ritenuto che la PA, datore di lavoro, possa permettere il godimento delle ferie maturate dal lavoratore anche nel corso del periodo di preavviso lavorato, al fine di rispettare il divieto di monetizzazione imposto dalla vigente normativa.

La Corte dei conti, in questa specifica circostanza ha richiamato proprio la disposizione dell’art. 28, comma 11, del CCNL Funzioni Locali 21 maggio 2018, secondo cui le ferie maturate e non godute sono monetizzabili soltanto all’atto di cessazione del rapporto lavorativo “nei limiti delle vigenti norme di legge”. E, ovviamente, il rinvio è al d.l. 95/2012. L’art. 5, comma 8, del d.l. 95/2012 dispone, infatti, oltre all’obbligatorietà di fruizione delle ferie, anche in divieto di monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro (per mobilità, dimissioni, pensionamento, risoluzione e raggiungimento del limite di età),qualora la vicenda estintiva sia riconducibile alla volontà del lavoratore o ad eventi che comunque consentano al datore di lavoro di pianificare per tempo la fruizione delle ferie (Corte Costituzionale, sentenza 95/2016). Il divieto di monetizzazione imposto dall’art. 5, comma 8, del d.l. 95/2012, al contrario, non troverebbe applicazione nel caso in cui la mancata fruizione delle ferie sia dipesa da eventi del tutto imprevedibili e non attribuibili in alcun modo, né al datore di lavoro, né al lavoratore (Dipartimento F.P., parere n. 4033/2012). Secondo i magistrati contabili, qualora il lavoratore comunicasse al datore di lavoro con ampio preavviso la cessazione del rapporto lavorativo, il datore può far fruire le ferie maturate e non godute dal lavoratore nel periodo di preavviso lavorato, poiché durante il decorso di quest’ultimo, il contratto di lavoro continua ad esplicare i propri effetti, fra cui anche la maturazione delle ferie (Corte di Cassazione, sentenza 985/2017).

Pertanto, il periodo di preavviso non precluderebbe la concessione della fruizione delle ferie, potendo avere un differimento del termine finale di preavviso, salvo diverso accordo tra le parti. Tutto questo dimostra che il Datore di lavori deve adoperarsi in tutti i modi, fino alla fine del rapporto lavorativo, per consentire la fruizione delle ferie. Nella precitata sentenza n. 2496 del 1° febbraio 2018, la Cassazione ha osservato che il diritto del lavoratore al pagamento della indennità sostitutiva nel caso di mancato godimento delle ferie non viene toccato dalle disposizioni del D.L. n. 95/2012 che ha sancito un vero e proprio divieto di monetizzazione delle ferie. A parere della Corte di Cassazione, tale normativa ha il fine di evitare un ricorso incontrollato alla monetizzazione delle ferie non godute, al fine di contrastarne gli abusi e di evitare che il dipendente conservi in maniera scorretta i giorni di ferie maturati. Secondo la Corte, più precisamente, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto al lavoratore un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui lo stesso non abbia usufruito, venendo così ad incorrere nella c.d. “mora del creditore”. Qualora, invero, il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere di stabilire il godimento (art. 2109 c.c.), offra il proprio adempimento (inteso quale offerta di godimento delle ferie) fissando per la fruizione un arco temporale adeguato, in modo che il lavoratore non “riceva”, la sopravvenuta impossibilità della prestazione (l’impossibilità del godimento delle ferie), il mancato godimento delle ferie resta a carico del lavoratore. Secondo le argomentazioni seguite dalla Suprema Corte, infatti, in tal caso l’obbligazione datoriale (consentire il godimento delle ferie) si estingue, essendo divenuta impossibile per fatto non imputabile al debitore. La tesi argomentata ribadisce con forza il principio secondo il quale il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore di lavoro, il quale ha sempre l’onere di procurare l’adempimento ovvero l’offerta di adempimento.

Tutte queste considerazioni giurisprudenziali conducono alla conclusione che è un preciso obbligo del datore di lavoro, anche se di piccole dimensioni, programmare le attività lavorative, al fine di favorire la fruizione delle ferie dei dipendenti, valutando attentamente se in concreto sussistono i presupposti che legittimano la monetizzazione delle ferie maturate e non godute, nel rispetto delle vigenti norme in materia. Qualora questo non sia accaduto, ovvero non vi siano evidenze in atti, l’Ente deve valutare l’opportunità e la convenienza nel caso concreto di liquidare le ferie non godute ponendo l’attenzione anche sul disposto dell’art. 5, comma 8 del d.l. 95/2012 in tema di responsabilità del dirigente, ovvero, esporsi ad un probabile contenzioso dagli esiti altamente incerti.


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