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L’atteso Decreto Assunzioni: analisi e riflessioni
Con la pubblicazione in G.U. del decreto 17 marzo 2020 assume piena effettività il Decreto Crescita. Ecco come cambiano le regole assunzionali nella PA

È stato pubblicato in G.U. n. 108 del 27 aprile 2020, il d.m. 17 marzo 2020, recante «Misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni». il Decreto Ministeriale ridefinisce le regole assunzionali per i Comuni in esecuzione dell’art. 33 comma 2 del d.l. 34/2019, cd ”Decreto Crescita”. Con la pubblicazione in Gazzetta del precitato d.m. il Decreto Crescita conquista la sua vera concretezza e l’effettività di quella norma rimasta, appunto, sospesa e rimandata al momento dell’entrata in vigore del d.m., cui esso stesso rinviava.

Le norme

Il d.m., ora, compie due ulteriori specificazioni. Individua – dapprima- all’art. 4,i valori soglia di massima spesa del personale. Le norme, attuative dell’articolo 33 del decreto legge 34/2019 superano, infatti, il risalente principio del turn over e fissano, per la spesa di personale, determinati valori soglia, differenziati per fasce demografiche fissati sul rapporto percentuale tra la spesa di personale e media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati al netto del Fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nel bilancio di previsione.
Fissati questi valori limite, il decreto dispone, poi, al successivo art. 5, le percentuali massime annuali di incremento della spesa di personale a tempo indeterminato per i comuni cd. virtuosi che si collocano, cioè, al di sotto di quei valori soglia fissati dal precedente articolo 4.
Due, allora, le strade e le opportunità scritte nelle norme. I Comuni che si collocano al di sotto del valore soglia corrispondente alla propria classe demografica potranno, a decorrere dal 20/04/2020, incrementare la spesa negli anni, fino al raggiungimento del limite previsto nel Decreto e secondo il meccanismo incrementale annuale disciplinato all’art. 5. Diversamente da questi, gli Enti che presentano un rapporto eccedente il valore soglia, debbono intraprendere un percorso inverso di graduale riduzione del rapporto fino a rientrare nei valori dell’art. 4. A questi ultimi è concesso un tempo massimo per recuperare la percentuale soglia, fissato al 2025. La strada del graduale recupero, volendo anche scontata è anch’essa normata ed individuata nella applicazione “anche” di un turn over inferiore al 100%.
In riferimento a detto obbligo di rientro, la norma specifica, ancora, che qualora a decorrere dal 2025 (anno fissato quale limite massimo per rientrare) i Comuni riportino,un rapporto spese di personale/spese correnti superiore al valore soglia per fascia demografica, applicano un turn over pari al 30% fino al conseguimento del predetto valore soglia. Infine, anche, una disposizione per quei Comuni il cui rapporto percentuale si collochi in una zona grigia, risultando compreso ,cioè, tra i 2 valori soglia previsti rispettivamente dagli artt. 4 e 5 del d.m. – ovvero tra il valore soglia di massima spesa e quello di potenziale incremento per  classe demografica – i quali non potranno incrementare il valore del predetto rapporto rispetto a quello corrispondente registrato nell’ultimo rendiconto approvato.
Infine, nelle disposizioni attuative e finali si legge una disposizione importante di non rilevanza della maggior spesa consentita agli Enti virtuosi ai fini del rispetto del limite di spesa previsto dall’art. 1, comma 557-quater e comma 562, della Legge n. 296/2006.

La “ratio”

Il decreto in esame attua una riforma che sostituisce il criterio ormai storico del turn over – assunzioni proporzionate alle cessazioni degli anni precedenti – con quello squisitamente finanziario della salute dei bilanci, che permette più assunzioni a fronte di maggiori entrate. La logica di fondo è coerente con le più evolute tendenze normative in materia di personale e con l’autonomia organizzativa dell’Ente locale. A determinare le nuove istanze in tema di fabbisogno, non è più solo il rapporto cessati/ nuove assunzioni, spesso legato ad un concetto statico di dotazione e posti da rimpiazzare, ma un rapporto più evoluto tra esigenze emergenti, anche diverse od ulteriori rispetto a quelle considerate nel tempo, e margini di praticabilità delle stesse in termini esclusivi  di sostenibilità finanziaria. Non ci saranno più regole generali di assunzione valide per tutti gli Enti locali, ma assunzioni e possibilità differenziate in base alla sostenibilità finanziaria di ogni comune.

Le criticità e i dubbi

Il decreto, come anzidetto, fonda il calcolo degli spazi per nuove assunzioni sulla quantificazione per ciascun ente del rapporto tra spese di personale ed entrate correnti al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità. Il parametro per misurare lo stato di equilibrio di quel rapporto è sempre l’ultimo rendiconto approvato; rendiconto che, come ovvio, sarà ogni anno differente. Ogni anno, allora, potrebbe esserci, come certamente ci sarà, una percentuale differente che determinerà un margine assunzionale utilizzabile solo per quell’anno. Questo pone anche qualche difficoltà sul piano dell’impostazione – ancora triennale -della programmazione del fabbisogno. In un sistema, come questo, in cui l’andamento delle entrate costituisce fattore determinante sulla programmazione del fabbisogno di personale la questione più immediata, oggi, risulta essere però quella sottesa al periodo di emergenza sanitaria, periodo, oggi, ancora di difficile definizione temporale.
L’emergenza sanitaria in atto determinerà, invero, riduzioni importanti di addizionale IRPEF, IMU, TARI, TASI, tariffe per servizi, entrate patrimoniali, il che impedirà alla quasi  generalità dei Comuni, in vista delle ridotte entrate 2020 e certamente anche 2021,il rispetto della soglia di virtuosità, quindi, l’utilizzo concreto delle facoltà ampliative in materia di nuove assunzioni.
Qualche risposta di maggiore chiarezza potrebbe arrivare dall’attesa circolare esplicativa.


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