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Decreto Rilancio: con lo Smart working la produttività cala del 30%
Il report elaborato da Promo PA

GAETANO SCOGNAMIGLIO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Si va dal 46% di dipendenti pubblici della Calabria in smart working al 100% dell’Abruzzo, con una media nazionale del 73%, secondo il monitoraggio dell’aprile scorso, effettuato dal Dipartimento della Funzione pubblica. Sull’onda dell’emergenza, la PA ha fatto ciò che non erano riusciti a ottenere i vari progetti finanziati dal Pon Governance per circa 6 milioni di euro dal 2015 in poi, quando la legge n. 124 auspicava che questa metodologia fosse adottata da almeno il 10% delle lavoratrici e dei lavoratori della pubblica amministrazione.

Con la ripresa delle attività, l’organizzazione del lavoro dovrà adeguarsi alle esigenze di imprese e professionisti che attendono risposte e rivedere in parte il ruolo fin qui svolto dallo smart working. É quel che tenta ora il decreto legge Rilancio con le nuove disposizioni in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile, emanate per accelerare la conclusione dei procedimenti sospesi, che prevedono un’organizzazione flessibile, calibrata soprattutto sulle esigenze dell’utenza. Analogamente si era mossa qualche giorno fa la Ministra per la Pubblica amministrazione Fabiana Dadone con la direttiva n. 3/2020 , invitando gli uffici nella Fase 2 ad ampliare «il novero – delle attività – da rendere in presenza, anche per assicurare il necessario supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali », alla quale evidentemente lo smart working non riesce a dare una risposta soddisfacente. La criticità viene ora confermata da una indagine di Promo Pa, dalla quale si evidenzia un gap di produttività, dello smart working di circa il 30% in meno rispetto al lavoro in presenza. Dall’indagine, che si è basata su interviste qualitative rivolte a un campione ragionato di 50 dirigenti apicali della pubblica amministrazione, il 41% dei quali espressione della Pa centrale, il 44% della Pa locale e il 15% della Pa regionale, é emerso che il lavoro agile , sebbene abbia rappresentato una soluzione obbligata, si sta svolgendo con una serie di problemi irrisolti, che riguardano fra l’altro i rischi sulla sicurezza informatica, dovuti all’utilizzo di Pc personali , che a livello di enti locali supera il 70%, privi dunque di adeguati requisiti di sicurezza, con elevato rischio di hackeraggio, violazione di privacy e perdita controllo dati. Circa il 50% dei dipendenti inoltre hanno diffusi problemi di connessione internet e di difficile adeguamento culturale al nuovo contesto di lavoro, specie nell’utilizzo delle piattaforme di comunicazione.

Emerge infine una valutazione più positiva degli uomini rispetto alle donne, che presumibilmente devono rendere compatibile lo smart working con gli impegni familiari. Per superare queste difficoltà il decreto punta su una riorganizzazione del lavoro, basata su una collaborazione orizzontale, su obiettivi condivisi e sul monitoraggio continuo dei risultati, equilibrando lavoro in presenza e da remoto, secondo le esigenze dell’utenza, nella logica della accelerazione delle procedure, specie per smaltire i carichi arretrati. In questo quadro diventa obbligatoria la formazione ad hoc della dirigenza e indispensabile comunque l’investimento nelle dotazioni informatiche. Solo così, passata l’emergenza, lo smart working potrà entrare nel consolidato del lavoro della PA senza effetti negativi su una performance, già condizionata dai noti fattori della instabilità legislativa e della iperregolamentazione.


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