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Assenteisti tenuti a risarcire il danno all'immagine della PA solo se licenziati
Falsa attestazione della presenza in servizio e sua connessione con l'azione di responsabilità per danno erariale all'immagine della PA

di DOMENICO IROLLO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

L’azione di responsabilità per danno erariale all’immagine della PA, intentata dalla Procura contabile in forza della previsione speciale dell’articolo 55-quater del Dlgs 165/2001 nei confronti dei dipendenti pubblici sorpresi ad attestare falsamente la propria presenza in servizio, è inammissibile se attivata quando i termini fissati dal comma 3-quater sono già spirati, trattandosi di scadenze perentorie. Stesso discorso in tutti i casi in cui la parallela trafila disciplinare si concluda senza l’adozione di un valido provvedimento di licenziamento. Lo ha statuito la Corte dei conti della Lombardia con le sentenze “gemelle” n. 53, 54, 55 e 58/2020.

Il caso
La faccenda ha visto coinvolti diversi dipendenti dell’Agenzia delle Dogane di Milano protagonisti di numerosi episodi di falsa attestazione della presenza in servizio, scoperti grazie a una serie di controlli all’ingresso e all’uscita del personale tramite l’utilizzo di telecamere. Tutti e quattro i dipendenti erano stati in un primo momento licenziati, salvo essere più tardi riammessi in servizio dopo aver scontato la più mite sanzione della sospensione dal servizio per sei mesi. I fatti venivano, nel contempo, segnalati alla Procura contabile che si azionava ai fini della risarcibilità del danno reputazionale provocato dai quattro assenteisti all’amministrazione.

Il verdetto
I giudici hanno tuttavia dichiarato inammissibile l’iniziativa del Pm contabile poiché intempestiva, essendo stata proposta oltre i termini, ritenuti tassativi, fissati dal comma 3-quater dell’articolo 55-quater del Testo unico sul pubblico impiego, introdotto con la Riforma Madia del 2016, in virtù del quale la Procura erariale deve: a) concludere l’istruttoria per danno d’immagine «entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento» (nella fattispecie l’invito a dedurre era stato invece notificato a distanza di 11 mesi dal licenziamento); b) esercitare la relativa azione di responsabilità amministrativo-contabile nei centoventi giorni successivi alla denuncia (poi incrementati a centocinquanta con il Dlgs 118/2017), «senza possibilità di proroga» (l’atto di citazione a giudizio risultava invece depositato nella circostanza dopo più di 1 anno dalla denuncia).
Ma la sortita del Pm contabile è stata bocciata anche per un’altra ragione: a loro avviso difatti il ristoro del danno all’immagine regolamentato dalla disciplina speciale sull’assenteismo fraudolento nel pubblico impiego, oltre che al rispetto delle scadenze procedurali, è subordinato all’adozione, sul corrispondente fronte disciplinare, della massima sanzione espulsiva e sempre che il licenziamento resista agli eventuali ricorsi del dipendente in sede giurisdizionale. Nel caso in esame, al contrario, il licenziamento era stato annullato dall’amministrazione e sostituito con la sospensione dal servizio.

Incostituzionalità
A margine, è doveroso rimarcare che le motivazioni delle sentenze qui commentate peccano di “anacronismo”, atteso che sono state depositate il 23/24 aprile scorso, e cioè dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, del 15 aprile, della sentenza n. 61/2020 della Consulta che dichiarando l’illegittimità costituzionale per eccesso di delega di gran parte del richiamato comma 3-quater, ha di fatto “stroncato” la disciplina speciale del danno all’immagine. Pertanto, anche i cosiddetti «furbetti del cartellino», d’ora in avanti, potranno essere chiamati a rispondere a tale titolo soltanto al ricorrere dei presupposti di procedibilità previsti dalla disciplina generale e cioè ove sussista una senza irrevocabile di condanna per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pa (Cdc d’Appello n. 66/2020) ovvero per il reato specifico previsto dall’articolo 55-quinquies dello stesso Dlgs n. 165.


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