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Contratto a termine reiterato, il risarcimento spetta anche senza la prova del danno
Il principio affermato dalla Corte di Cassazione

di MICHELE NICO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine si configura una prestazione lavorativa in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione nel pubblico impiego, dacché la modalità generale e ordinaria di accesso nei ruoli della Pubblica amministrazione è il concorso.
Il ricorso al contratto a tempo determinato al di fuori dei casi e limiti consentiti non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, stante il divieto in questo senso posto dall’articolo 36, comma 5, del Dlgs 165/2001, ma implica il risarcimento del danno a favore del lavoratore, fatta salva la prova del maggior pregiudizio sofferto con la dimostrazione, mediante presunzioni, della perdita di opportunità di trovare un impiego o del fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe vinto. Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4882/2020.

Il contenzioso
La mano pesante dei giudici nei confronti della Pa è emersa con evidenza alla luce del fatto che la Corte d’appello di Torino, con la propria decisione oggetto di ricorso, aveva escluso il risarcimento al lavoratore, sostenendo che il danno da questi subito non poteva ritenersi in re ipsa, ma doveva essere puntualmente provato dall’interessato con apposita allegazione in merito al pregiudizio patito per effetto della condotta illegittima dell’ente.
La vicenda riguarda l’assunzione del ricorrente presso la Regione autonoma Valle d’Aosta con più contratti a tempo determinato succedutisi nel tempo in categoria B, posizione economica B2.
Dopo la cessazione del rapporto di lavoro il dipendente si è rivolto al Tribunale di Aosta per ottenere la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e il risarcimento del danno conseguente all’abusiva reiterazione dei contratti a termine.
In sede di contenzioso è subito emersa con chiarezza da un lato la fondatezza delle ragioni di illegittimità prospettate a fondamento del ricorso, e dall’altro, l’impossibilità di trasformare il rapporto lavorativo in un’assunzione a tempo indeterminato, in ragione del fatto che l’articolo 36, comma 5, del Dlgs 165/2001 sancisce espressamente che «la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato».

Il risarcimento del danno
Al che l’attenzione dei giudici si è concentrata, con esiti divergenti, sui presupposti per l’insorgenza del risarcimento del danno a favore del lavoratore, in conseguenza del contegno illegittimo tenuto dall’ente.
I giudici del Tribunale hanno riconosciuto il diritto del ricorrente al risarcimento del danno nella misura di 20 mensilità dell’ultima retribuzione percepita, in applicazione analogica dell’articolo 18 della legge n. 300/1970 (statuto dei lavoratori).
La Corte d’Appello ha invece escluso il diritto al risarcimento senza una prova del danno (non prodotta in giudizio) a carico del lavoratore.
La Cassazione, infine, si è discostata da entrambe le pronunce ritenendo che debba sì essere riconosciuto (anche senza prove) un equo risarcimento al lavoratore, ma non nell’importo del danno quantificato dal giudice di primo grado, bensì nella misura di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione, in conformità al «canone di effettività» della tutela affermato dalla Corte di Giustizia europea con ordinanza C-50/13 del 12 dicembre 2013, nonché recepito dalla Cassazione a sezioni unite con la pronuncia n. 5072/2016.


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