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Lo smart working ai tempi del Coronavirus
Uno strumento importante su cui investire (non soltanto in situazioni di emergenza): il punto di vista dell'esperto, alla luce della nuova circolare emessa dal ministro per la Pubblica Amministrazione

In questi giorni ovviamente si parla di continuo di “COVID-19” (o Coronavirus) e delle misure che si stanno adottando per cercare di contrastarne la diffusione. Al fine di individuare modalità che consentano di poter lavorare senza doversi spostare, evitando di avere contatti con persone che potrebbero essere contagiate (anche senza saperlo) si insiste sulla necessità di utilizzare lo smart working (o lavoro agile), la modalità lavorativa che permette di conciliare le esigenze del datore di lavoro con quelle del lavoratore, senza che lo stesso debba recarsi materialmente in azienda o in ufficio.
Disciplinato da una normativa contenuta nell’art. 18 della l. n. 81/2017 – teso a tutelare il lavoro autonomo non imprenditoriale e ad introdurre maggiore flessibilità sui tempi e luoghi di esercizio del lavoro subordinato  ̶  il lavoro agile presuppone l’esercizio di una maggiore autonomia da parte del lavoratore, ma lo responsabilizza in ordine all’ottenimento di una serie di risultati. La sua applicazione comporta, oltre ad un accordo scritto fra datore di lavoro e dipendente, una revisione della cultura organizzativa tradizionale, una più ampia flessibilità in ordine agli spazi ed ai tempi di lavoro, ma anche un minimo di dotazioni strumentali che devono essere assicurate al lavoratore e di garanzie affinché non vengano ad essere ridimensionati i suoi diritti.

Smart working: le esperienze nel settore pubblico

In Italia lo smart working ha trovato applicazione principalmente in grandi aziende, ma non mancano esperienze interessanti anche nel settore pubblico. Ricordiamo quelle delle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lazio, della Città di Torino, della Provincia autonoma di Trento, del Comune e della Città metropolitana di Bologna, della Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi. Non riscontriamo però solamente enti di grande dimensione: in provincia di Ravenna è stato applicato già da alcuni anni nella Camera di commercio e recentemente anche il Comune di Cervia ha avviato una sperimentazione. Vi è poi l’Unione delle Valli e delle Dolomiti friulane che si è attivata per utilizzare questa formula.

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