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Smart working: il futuro della prestazione lavorativa?
L'esigenza di evitare assembramenti in questi giorni di emergenza sanitaria riaccende l'attenzione sul tema del lavoro agile

 

Tra le conseguenze derivanti dall’emergenza Coronavirus figura anche il ricorso oramai diffuso allo smart working, il cosiddetto lavoro agile, complice anche il decreto legge 22 febbraio 2020, n. 6, riguardante nello specifico le misure da mettere in atto per arginare la diffusione del contagio. In Cina ormai milioni di lavoratori vi ricorrono da settimane, mentre scuole e licei portano avanti l’attività didattica da remoto.
La produttività raggiunta con lo smart working, secondo i dati forniti dagli esperti, sale anche del 15-20%, in quanto il focus del lavoro agile si muove per obiettivi. Il 58% delle grandi imprese è in grado di implementare l’utilizzo dello smart working, per un totale di quasi 600.000 lavoratori. Nel corso dell’ultimo anno c’è stato un incremento del 20%, ma gli spazi di crescita appaiono ancora maggiori.

In relazione alla situazione attuale che ha spinto le Regioni a esortare le aziende verso questa modalità alternativa di lavoro, riportiamo un brano del capitolo 10 “Lo Smart Working”, estratto da “Contratti di lavoro flessibile e appalti di servizio”, autore Francesco Verbaro, edito da Maggioli:

“Come anticipato, nel concetto ampio di flessibilità del lavoro rientra anche il c.d. smart working o lavoro agile, pur non trattandosi di un contratto di lavoro ma di una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Sulla materia, con l’obiettivo di promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, l’art. 14 della legge 124/2015, al comma 1, prevede che le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottano misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spaziotemporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.[…] Occorre partire dalla definizione di lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. […] Anche alla luce della definizione fornita dal legislatore, potremmo dunque dire che la flessibilità già presente nel telelavoro viene estremizzata nello smart working con una maggiore attenzione sull’obiettivo che il lavoratore agile deve raggiungere.
Un cambiamento di prospettiva dal punto di vista organizzativo che, forse, spingerà verso una maggiore responsabilizzazione ed orientamento al risultato da parte dei dipendenti e delle amministrazioni. diventa fondamentale, infatti, la definizione di obiettivi prestazionali specifici, misurabili, coerenti e compatibili con il contesto organizzativo, che permettano da un lato di responsabilizzare il personale rispetto alla mission istituzionale dell’amministrazione, dall’altro di valutare e valorizzare la prestazione lavorativa in termini di performance e di risultati effettivamente raggiunti.”

 

 

 


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