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Quei tagli sofferti sugli statali
Sacrifici necessari. Stop alle tredicesime ma la spesa non scende.
IL COSTO Le uscite per gli stipendi dei funzionari di tutte le pubbliche amministrazioni sono raddoppiate tra il 2000 e il 2009 a 126 miliardi

Fonte: Il Sole 24 Ore

«Non possiamo avere quello che non possiamo permetterci.
I dipendenti pubblici sanno bene che in cassa non c’è più un soldo».
Le parole del ministro del Bilancio Cristobal Montoro agitano le piazze della Spagna nelle quali i sindacati hanno organizzato ieri la protesta di 2,7 milioni di spagnoli che lavorano nelle amministrazioni dello Stato centrale, nelle Regioni e nelle amministrazioni comunali.
Il Governo conservatore guidato da Mariano Rajoy ha appena ottenuto in Parlamento l’approvazione della manovra straordinaria da 65 miliardi di euro in due anni: misure necessarie per centrare gli obiettivi di deficit concordati con l’Europa dopo aver sforato in modo clamoroso i target del 2011 chiudendo con un disavanzo pari all’8,9% del Pil; tagli e tasse quasi imposti da Bruxelles che ha concesso a Madrid un anno in più, fino al 2014, per scendere sotto il 3% del Pil.
Con la Spagna che ha accettato di essere di fatto commissariata da Unione europea e Bce per avere gli aiuti alle banche.
I grandi sindacati – Comisiones Obreras e Union General de Trabajadores – vogliono ottenere dal Governo un referendum sulla manovra «che colpisce sempre nella stessa direzione».
Anche il risanamento del Governo socialista di José Luis Zapatero era iniziato dai dipendenti pubblici: nel maggio di tre anni fa, già sotto le pressioni dei mercati, richiamato all’ordine dall’Unione europea e dopo una telefonata notturna con il presidente americano Barack Obama, Zapatero annunciava «interventi impopolari ma necessari, che toccheranno da vicino milioni di spagnoli» riducendo gli stipendi del 5% in media nel 2010 e congelando ogni aumento per tutto il 2011.
E Rajoy ha tradito quasi subito le promesse fatte in campagna elettorale e assieme all’aumento dell’Irpef, delle tasse sulla casa, dell’Iva e ai tagli lineari per tutti i ministeri, alla quarta manovra in sette mesi, è arrivato anche ai dipendenti pubblici: soppressione della «paga extra de Navidad», la tredicesima, per i funzionari di tutte le amministrazioni pubbliche.
Oltre alla riduzione dei giorni liberi e dei permessi sindacali e alla minaccia di aumentare le ore di lavoro settimanali.
La spesa per gli stipendi pagata dallo Stato e dalle altre amministrazioni è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2009, passando da 64 miliardi di euro a 126 miliardi di euro.
Poi la crisi economica ha costretto anche la Spagna a rivedere l’organizzazione della pubblica amministrazione: con difficoltà i Governi hanno tentato di contenere la spesa portandola nel 2011 a poco meno di 123 miliardi.
Ma sulla retribuzione e sul numero dei dipendenti si è aperto anche un nuovo conflitto con il Governo centrale e le Regioni che in Spagna controllano oltre un terzo della spesa pubblica e garantiscono un posto fisso alla metà dei lavoratori del pubblico con la totale competenza sui servizi sanitari e sulle scuole.
L’insofferenza verso l’austerity decisa dal premier conservatore Rajoy – che quest’anno vuole dalle Regioni risparmi per 18 miliardi di euro – è evidente in Andalusia, l’unica Regione rimasta in mano ai socialisti ma sta montando anche nei leader locali del Partito popolare: Castiglia e Leon ed Estremadura hanno osteggiato le misure contenute nella manovra astenendosi dal voto nel Consiglio di politica fiscale, mentre la Galizia – terra d’origine e feudo di Rajoy – ha espresso un «sì critico».
Ormai insostenibile inoltre lo scontro con la Catalogna, la Regione più ricca del Paese amministrata dai partiti autonomisti: «Le Regioni – dice Artur Mas, presidente della Catalogna e leader di Convergencia i Unio – che sono responsabili del 35% della spesa pubblica devono sopportare il 64% dei tagli mentre lo Stato che controlla il 52% della spesa pubblica totale contribuirà all’austerity per il 31 per cento.
Alle autonomie si chiede uno sforzo doppio.
Rajoy si sta muovendo in modo sleale».


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