MAGGIOLI EDITORE - ilPersonale.it


In piazza per proteggere il salario
Il segretario generale lancia l'allarme sul crollo del potere d'acquisto degli stipendi pubblici
Battaglia: le famiglie sono allo stremo, occorrono soluzioni

Fonte: Italia Oggi

Tra due giorni, sabato 10 novembre, si terrà a piazza Santi Apostoli a Roma, la manifestazione nazionale organizzata dalla Federazione Confsal-Unsa intitolata «Stipendio Day». L’obiettivo della manifestazione è quello di porre al centro del dibattito politico il problema dello stipendio dei pubblici dipendenti, ormai bloccato da 3 anni. All’evento sono attesi pullman e macchine da tutta Italia. Incontriamo per l’occasione Massimo Battaglia, Segretario generale della Federazione Confsal-Unsa.Domanda. Segretario, la Confsal-Unsa scende nuovamente in piazza il 10 novembre. È il segno che i problemi contro cui vi battete non sono stati ancora risolti?Risposta. Esattamente. Anzi, più il tempo passa e più la situazione si fa critica perché crescono le difficoltà di milioni di famiglie di questo paese che hanno un reddito medio basso. Non è un caso quindi che noi della Confsal-Unsa siamo in una fase politica di mobilitazione permanente e che in meno di un anno abbiamo organizzato 4 manifestazioni nazionali. Mi riferisco allo sciopero del dicembre 2011 contro la riforma delle pensioni del piangente ministro Fornero, a quella del 23 giugno scorso contro la paventata sospensione delle tredicesime che abbiamo scongiurato e a quella del 18 luglio davanti alla camera dei deputati contro questa sbagliata architettura di spending review, fino a giungere all’ulteriore sciopero nazionale del 28 settembre scorso contro le dichiarazioni di esubero del personale della Pa e la loro messa in mobilità. In una cornice di relazioni sindacali a dir poco contratte, che di certo non sono all’altezza delle nostre aspettative, tanto che neanche gli accordi sottoscritti dai ministri vengono attuati, e il riferimento voluto è al testo dell’Intesa del 3 maggio 2012 in funzione pubblica con il ministro Patroni Griffi, la piazza è il luogo privilegiato per esprimere con più forza il proprio totale dissenso alle scelte intraprese dal governo.D. Con questa manifestazione cosa chiedete al governo?R. Una cosa su tutte: immediati aumenti in busta paga, perché oggi le famiglie dei dipendenti pubblici sono scivolate verso la soglia di vera e propria povertà. È urgente e necessaria una politica di sostegno al reddito da lavoro dipendente. Del resto i lavoratori pubblici non hanno di certo barche ormeggiate e non pasteggiano a champagne e ostriche. Non chiediamo aumenti stipendiali per navigare nel lusso, ma perché vogliamo e dobbiamo assicurare la sopravvivenza a noi stessi e alle nostre famiglie. L’obbiettivo di questa manifestazione è far sentire al governo la voce esasperata dei lavoratori del pubblico impiego, che sono vittime di un blocco dei contratti deciso per legge, quando, al contrario, nel privato alcuni contratti collettivi sono stati rinnovati. D. La vostra battaglia principale quindi riguarda il potere d’acquisto dello stipendio dei dipendenti pubblici?R. Esattamente. È la nostra battaglia principale perché è quella collegata alla sopravvivenza di milioni di nuclei familiari. Le telefonate e le mail allarmate, a volte disperate, che riceviamo giornalmente dai colleghi di tutta Italia rappresentano quello spaccato di vita reale e giornaliero che poi finisce nelle fredde indagini statistiche già rese pubbliche dall’Istat. Ma sono proprio queste telefonate e queste mail che ci dicono quanto pesa, in modo sempre più insostenibile, quel divario crescente tra l’incremento dell’inflazione e la stagnazione delle retribuzione; un divario che è superiore al 2,1%. Un dato che rappresenta la forbice più alta dal 1995. Questo, in parole povere, significa che ogni mese, lo stipendio vale sempre meno, mentre la vita costa sempre di più. Secondo i dati di Banca d’Italia e Osservatorio nazionale Federconsumatori, la perdita del potere di acquisto dal 2008 è stata di un pazzesco 9,8% dello stipendio. Il che, tradotto, vuole dire una catastrofe, poiché stiamo parlando di stipendi medi che vanno dalle 1.200 alle 1.400 euro mensili, totalmente insufficienti per non essere nella precarietà. D. La famiglia continua a essere al centro del dibattito politico. Eppure si ha sempre l’impressione di ascoltare parole che non vengono tradotte in politiche concrete. Cosa ne pensa il sindacato?R. Il nostro impegno nel mettere la questione dello stipendio dei dipendenti pubblici al centro del dibattito politico è anche rivolto a tutelare e difendere le famiglie. Perché anche se esse sono la pietra angolare della nostra società, purtroppo vengono ricordate nel dibattito politico solo in modo retorico e utilitaristico. Sento troppe parole e vedo pochi fatti a favore delle famiglie italiane, e su questo punto il sindacato ha il ruolo di fare una denuncia politica e sociale. Anche il presidente del consiglio Monti ha partecipato a fine ottobre al Festival della famiglia a Riva del Garda e si è espresso con belle parole sull’importanza dei nuclei famigliari. Poi però ministri del suo governo parlano più di licenziare che di occupazione. E allora vorrei chiedere a questo governo chi lo porta il pane a casa nelle famiglie di questo paese? Le loro belle parole oppure un lavoro stabile e uno stipendio adeguato? Questo paese ha speso inutilmente miliardi di euro per finanziare grandi imprese che poi si sono volatilizzate dal nostro territorio, ma non riesce ancora ad adottare semplici misure per aumentare le buste paga dei lavoratori dipendenti quali la defiscalizzazione degli straordinari nel pubblico impiego. Siamo preda di un cortocircuito progettuale disastroso che investe in modo trasversale politiche del lavoro, politiche dei redditi, politiche fiscali, politiche per la famiglia e politiche della pubblica amministrazione. Questa incapacità, non superata neanche dagli esimi tecnocrati che ci governano, sta stritolando i lavoratori e le loro famiglie, che patiscono, come ho già ricordato, una diminuzione sostanziale del potere di acquisto del reddito, mentre stanno continuamente aumentando i prezzi al consumo, i prezzi delle risorse energetiche, e le tasse dirette e indirette di ogni livello di governo, da quello nazionale a quello locale, con Imu e addizionali regionali e comunali comprese. I lavoratori pubblici, che sono padri e madri di famiglia, in moltissimi casi in cui il risparmio accumulato negli anni di pre-crisi si è consumato, non possono più assolvere tutte le responsabilità legate alla salute, all’istruzione, al vestiario e alla formazione dei figli. D. Le politiche attuate dal governo Monti, sia nel suo insieme che da alcuni ministri in particolare, secondo Lei sono «contro» il lavoro pubblico?R. Quando i nostri politici parlano di pubblica amministrazione chissà perché usano sempre la parola riforma, a voler descrivere il miglioramento che si vuole apportare alla p.a. con i loro interventi legislativi. La parola riforma è usata nel significato di politiche «in favore», e non contro, il lavoro pubblico e portatrici di un suo miglioramento. Niente di più sbagliato, però. Noi stiamo ancora aspettando qualcuno in grado di fare una riforma seria e condivisa con le parti sociali, poiché il coinvolgimento dei lavoratori è il presupposto essenziale per la sua durevolezza. Il vecchio governo invece ci ha lasciato un’architettura normativa, tra l’altro parziale e incongruente in diversi punti, che ci è stata imposta con la forza di una schiacciante maggioranza parlamentare. Questo governo, e vado a rispondere alla domanda, non è stato in grado di correggere le norme contraddittorie di quella passata riforma che sono a tutt’oggi in vigore e ciò sta determinando difficoltà nelle relazioni sindacali in ogni luogo di contrattazione. Se a questo aggiungiamo anche le uscite infelici relative al blocco contrattuale fissato al 2014, ma implicitamente fino al 2018, presenti nella prima bozza della legge di stabilità, e poi stralciate dal testo definitivo, si capisce come questo governo, pur fatto da persone con grandi capacità che hanno permesso loro di sedere in importanti consigli di amministrazione, navighi continuamente a vista ed è capace di gettare scompiglio e allarme sociale anche laddove non ce n’è bisogno. L’approccio sbagliato al mondo del pubblico impiego che il governo Monti sta adottando ormai da mesi è dimostrato, oltre che dalla perdurante sterilizzazione delle dinamiche retributive oggetto della nostra manifestazione del 10 novembre, anche dal modo in cui tale governo ha interpretato la spending review. Chiariamolo, la spending review l’abbiamo chiesta noi da anni al l’ex ministro Tremonti, che invece da buon ragioniere ha preferito apportare continui e nefasti tagli lineari. La vera revisione della spesa invece doveva aprire una fase di selettività dei tagli, per colpire solo lì dove si annidava l’inefficienza della spesa pubblica. Eppure, niente. Altro giro e altra corsa, altro governo e altro errore. Questa montiana spending review è l’apoteosi dell’incapacità italiana di cambiare rotta, perché si rifanno di nuovo tagli lineari, con l’aggravio, terribile, di aprire orizzonti di precarietà per i dipendenti pubblici, come prevedono le norme sulla mobilità forzata e sulla cassa integrazione obbligatoria per due anni cui segue il licenziamento. D. Dopo il 10 novembre, la Confsal-Unsa ha in programma altre iniziative pubbliche?R. Come detto la Federazione Confsal-Unsa si considera in uno stato di mobilitazione permanente. La situazione dei lavoratori pubblici medi è così pericolosa e sul ciglio di un baratro sociale che abbiamo il dovere di spendere ogni nostra energia per continuare senza sosta la nostra battaglia per il sostegno del reddito. Non a caso l’Istat ha rilevato che nel solo 2012 vi è un calo dei consumi del 3,2%, che contribuisce a una contrazione del nostro pil stimata al 2,3%. Ecco perché non ritengo che la nostra non sia un’istanza meramente corporativa. Al contrario, ritengo che realizzare politiche di sostegno al potere di acquisto oggi significhi permettere alla domanda interna di riprendersi e di ampliare anche i posti di lavoro nel privato, che oggi invece risultano sempre più a rischio, poiché le spese sono ai minimi storici. Pertanto, in questo scenario, se entro la fine dell’anno non otterremo risposte per la nostra categoria, la Confsal-Unsa continuerà con le sue iniziative, che potranno essere ancora di piazza, fino ad arrivare allo sciopero, affinché il governo affronti, risolvendolo, il problema del potere di acquisto degli stipendi del pubblico impiego.


https://www.ilpersonale.it