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Falsa attestazione di presenza in servizio nel pubblico impiego
La Cassazione delinea al meglio il concetto: la falsa timbratura rileva di per sé, anche a prescindere dal danno economico cagionato all'Ente truffato

La Corte di Cassazione, Sez. II Penale, mediante la recente sentenza datata 23 gennaio 2019, n. 3262, ha annullato l’ordinanza con cui un Tribunale aveva escluso la configurabilità del reato di truffa nei confronti di un cd. “furbetto del cartellino”, osservando che il raggiro accertato, pur se quasi quotidiano, aveva prodotto nel complesso assenze di pochi minuti nell’arco delle singole giornate lavorative considerate, e che il calcolo delle ore lavorative nel complesso evase superava in termini retributivi di poco la cifra irrisoria di 50 euro, concretizzando per la Pubblica Amministrazione di appartenenza un danno non apprezzabile.
I supremi giudici ribaltano la decisione delineando in maniera accurata il concetto di “falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio”, affermando come quest’ultima “riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’Ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’Ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’Ente”.

>> CONSULTA IL TESTO DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE PENALE, SEZ. II, 23 GENNAIO 2019, n. 3262.


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