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Il demansionamento nel pubblico impiego: inquadramento giuridico del problema
L’inapplicabilità dell’articolo 2103 del codice civile al rapporto di lavoro nella PA: le valutazioni della Cassazione

di LIVIO BOIERO

Ai sensi dell’articolo 2103 del Codice Civile, il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Nel pubblico impiego, l’art. 52 del d.lgs. 165/2001 prevede che il dipendente pubblico deve essere adibito alla mansioni per le quali è stato assunto o a quelle considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, o ancora a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure concorsuali o selettive.

La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, non ha quindi  eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale.
La lettera del citato art. 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza “formale”, ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e – normalmente –  non sindacabile da parte del giudice, in caso di controversie. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della PA. Evidentemente, il legislatore e la giurisprudenza ritengono che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico.

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