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L'amministratore unico è la soluzione per gestire le partecipate
Così si risolve il conflitto tra la spending review e il dlgs sulle incompatibilità

Fonte: Italia Oggi

È la scelta di affidare la gestione delle partecipate all’amministratore unico l’unica soluzione alla contraddizione creata tra l’articolo 4, commi 4 e 5, del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012 (spending review) e il dlgs 39/2013 sulle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.La «spending review», allo scopo di alleggerire i costi di funzionamento delle società a partecipazione pubblica, aveva stabilito, con una disposizione discutibile, che nei consigli di amministrazione composti da 5 membri, 3 dovessero essere dipendenti dell’ente dominus; nel caso di composizione con 3 membri, i dipendenti dell’ente dominus dovrebbero essere 2.Come sempre, il legislatore invece di adottare soluzioni lineari, quale quella dell’obbligo della gratuità dell’incarico o della fissazione di tetti invalicabili di compenso, ha dirottato verso la strada meno plausibile: la commistione tra la figura del soggetto controllato e quella del controllore, scaturente appunto dall’obbligo di inserire nell’organo di amministrazione dipendenti dell’ente partecipante. Quello stesso ente, cioè, chiamato a verificare correttezza, efficienza, efficacia e risultati della società partecipata.Proprio il conflitto di interessi, anche solo potenziale, è stato preso di mira pochi mesi dopo (per altro dal medesimo governo che aveva approvato la spending review), a partire dalla legge 190/2012, che ha delegato il governo ad adottare un decreto legislativo in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi.L’inevitabile risultato della delega è l’incompatibilità tra gli incarichi dirigenziali e incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico stesso.Per risolvere il problema della contraddizione clamorosa tra le due norme, non è possibile considerare l’articolo 4, commi 4 e 5, della legge 135/2012 alla stregua di «norma speciale», non derogata da disposizioni generali successive. L’articolo 17 del dlgs 39/2012 sanziona la violazione delle disposizioni su inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi con la nullità. E l’articolo 18 successivo prevede anche specifiche sanzioni. Dunque, il dlgs 39/2013 è norma che prevale sulla spending review, visto il valore assoluto della sanzione della nullità.Non è percorribile nemmeno l’idea di incaricare nei consigli di amministrazione dipendenti non in possesso della qualifica dirigenziale, apparentemente non coinvolti della disciplina del dlgs 39/2013. In realtà le cose non stanno affatto così. L’articolo 2, comma 2, del dlgs 39/2013 è molto chiaro nello stabilire che ai fini del decreto «al conferimento negli enti locali di incarichi dirigenziali è assimilato quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale, nonché di tali incarichi a soggetti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 110, comma 2». Tale disposizione, dunque, coinvolge anche la stragrande maggioranza di enti locali privi di dirigenza. Ma si estende anche agli enti nei quali siano presenti dirigenti. Non v’è da dubitare che lo svolgimento di funzioni di governo in una società partecipata sia esplicazione di una funzione dirigenziale. Negli enti con la dirigenza, dunque, un dipendente privo di detta qualifica potrebbe essere incaricato nel consiglio di una partecipata solo previa delega di funzioni dirigenziali; ma, se fosse delegato svolgerebbe comunque funzioni dirigenziali e, dunque, incapperebbe nella previsione del citato articolo 2, comma 2.Impraticabile anche la scelta di incaricare il segretario comunale. A parte la circostanza che detto funzionario non è un dipendente dell’ente locale, in ogni caso per la sua funzione di responsabile anticorruzione l’incompatibilità con cariche amministrative nelle partecipate è di clamorosa evidenza.Allora, è l’articolo 4, comma 4, della legge 135/2012 ad indicare l’unica soluzione attualmente percorribile: «È comunque consentita la nomina di un amministratore unico». Tale previsione risponde sia alle esigenze di contenimento della spesa tenute presente dalla spending review, sia a quelle di lotta ai conflitti di interesse, imposti dal dlgs 39/2013, considerando che l’amministratore unico può essere ben individuato al di fuori dei dipendenti dell’ente partecipante.Dunque, quella che è indicata dall’articolo 4, comma 4, della legge 135/2012 come una facoltà, alla luce del dlgs 39/2013 diviene una scelta obbligata. Le società dovrebbero, dunque, correre a modificare statuti e atti costitutivi e rivedere la propria «governance», così da superare i problemi interpretativi e applicativi posti dalle schizofreniche norme.


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