Proroghe dei contratti a tempo determinato: conseguenze
Il Commento di L. Boiero

di L. Boiero

Con propria sentenza,  la Corte di appello di Bari, pronunciandosi sull’impugnazione proposta da un  Comune pugliese, in riforma della decisione del Tribunale locale, rigettava la domanda proposta da un ex dipendente (parzialmente accolta dal Tribunale della stessa sede che aveva condannato il Comune  a risarcire il danno nella misura di venti mensilità della retribuzione globale di fatto). Le questioni dedotte in giudizio erano state, per quanto qui interessa: l’illegittima stipula di una serie di contratti a termine negli anni 1992-2004 (per lo svolgimento delle mansioni di autista di scuolabus); l’accertamento del diritto all’assunzione a tempo indeterminato, con conseguente risarcimento del danno da determinarsi alla stregua delle retribuzioni non percepite fino alla data di trasformazione del rapporto; in subordine, il risarcimento del danno D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36. La Corte territoriale, riteneva che il lavoratore non avesse dato alcuna prova dei danni conseguiti dalla dedotta fattispecie contrattuale nè avesse allegato i relativi elementi costitutivi, in quanto tali ulteriori rispetto alla mera qualificazione della sanzione dell’illecito contrattuale in termini di  equivalenza  con quella prevista per i rapporti di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati.
Avverso tale sentenza, il lavoratore titolare dei contratti part time ha ricorso  per cassazione con una serie di motivi.
In particolare,  il ricorrente denunciava plurime violazioni della legge interna e della normativa comunitaria in tema di contratti a termine dolendosi della omessa valutazione da parte della Corte territoriale della questione del diritto alla conversione del rapporto da ritenersi applicabile al pubblico impiego. Assumeva la prevalenza delle norme del d.lgs. n. 368/2001 sull’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e di quest’ultimo sosteneva  il contrasto con la normativa comunitaria.
Con sentenza   n. 16226/2016 (Sez. VI – Lavoro, Ord.)  il  motivo è  stato ritenuto inammissibile dai giudici di Piazza Cavour, i quali hanno innanzitutto evidenziato che  già il giudice di primo grado  – in linea con quanto dalla  Suprema Corte recentemente  affermato nella decisione a sezioni unite del 15 marzo 2016, n. 5072 – aveva escluso la possibilità della conversione legale in ragione del divieto posto dall’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001.

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