Poliziotti provinciali in stallo

Fonte: Italia Oggi

Tempi lunghi per il trasferimento degli appartenenti alla polizia provinciale presso i corpi di polizia municipale e finanziamenti troppo esigui per il subentro delle regioni nella gestione dei servizi per il lavoro.

Le bozze del «decreto enti locali», atteso oggi in Gazzetta Ufficiale (sarà il dl n. 78/2015), non lasciano intravedere nessuna soluzione realmente efficace e, comunque, rapida alla situazione delicatissima della gestione del personale delle province.

Polizia provinciale. Le indicazioni del decreto enti locali sulla polizia provinciale nella sostanza aggiungono ben poco al regime vigente. Si prevede che il personale dei corpi di polizia provinciale transiti «nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia municipale».

L’unico elemento di «novità» della disposizione consisterebbe, tuttavia, nella specificazione normativa che i dipendenti dei corpi di polizia provinciale non sono «bloccati» nel prestare servizio presso le province, in attesa dell’impalpabile riforma delle forze di polizia. Il decreto, dunque, in questo modo corregge l’interpretazione fornita dalla circolare 1/2015, secondo la quale, invece, i circa 3 mila dipendenti delle polizie provinciali non avrebbero potuto partecipare alle procedure di mobilità.

Tuttavia, il testo delle bozze di decreto enti locali lascia fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 89, della legge 190/2014. Dunque, il trasferimento dei componenti della polizia provinciale dovrebbe essere comunque subordinato alle leggi con cui le regioni riordineranno le funzioni. Sicché, i tempi per giungere ai trasferimenti si rivelano estremamente lunghi, considerando l’inerzia delle regioni, che si trascina da mesi.

La bozza di decreto, ancora, stabilisce che finché i comuni non abbiano integralmente assorbito i dipendenti dei corpi di polizia provinciale, non potranno assumere, a pena di nullità «personale con qualsivoglia tipologia contrattuale per lo svolgimento di funzioni di polizia locale, fatta eccezione per le esigenze di carattere stagionale come disciplinate dalle vigenti disposizioni». Ma, l’articolo 1, comma 424, della legge 190 era già chiaro nel disciplinare ciò.

Poco innovativa anche la previsione, che nei testi circolati appare e scompare, secondo la quale il transito del personale dei corpi di polizia provinciale potrebbe avvenire sì nei limiti della dotazione organica e della programmazione triennale dei fabbisogni, ma «in deroga alle vigenti disposizioni in materia di limitazioni alle spese ed alle assunzioni di personale, garantendo comunque il rispetto del patto di stabilità interno nell’esercizio di riferimento e la sostenibilità di bilancio».

Di fatto, si estende la deroga ai tetti di spesa, già comunque normata dal comma 424 della legge 190/2014.

Servizi per il lavoro. Le bozze di decreto cercano di superare le censure che la Ue muoverebbe all’attuazione del comma 429 della legge 190/2014. Esso prevede l’utilizzo dell’anticipazione di 60 milioni del fondo di rotazione per la formazione professionale gestito dal ministero del lavoro a valere sul Fondo sociale europeo, giustificata solo per il pagamento degli stipendi del personale provinciale addetto ai centri per l’impiego. Non è un caso che nessuna regione abbia fatto richiesta di utilizzare tali fondi.

La soluzione di ripiego è allora giustificare l’impiego dei fondi europei allo scopo di garantire il livello essenziale delle prestazioni in materia di servizi e politiche del lavoro. A tale scopo, le regioni dovrebbero stipulare con lo stato una convenzione, per effetto della quale il ministero del lavoro metterebbe a disposizione 70 milioni in misura proporzionale al numero dei lavoratori direttamente impiegati nei servizi per il lavori, come anticipazione del fondo di rotazione per la formazione professionale.

Tuttavia, c’è da osservare che i 140 milioni in due anni non coprono il fabbisogno complessivo della spesa del personale provinciale addetto ai servizi per il lavoro, per il quale la spesa è di circa 250 milioni, cui sono da aggiungere altri 570 milioni circa per il funzionamento dei servizi. Le regioni, dunque, dovrebbero addossarsi una spesa di circa 630 milioni complessivi annui.

Come, poi, 70 milioni, non aggiuntivi alla spesa complessiva possano assicurare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che nemmeno la spesa attuale complessiva dei servizi per il lavoro, una delle più basse d’Europa, è tutto da dimostrare.

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