Pa, a casa i fannulloni

Fonte: Il Sole 24 Ore

Via i fannulloni dalla Pa. Così Renzi nella conferenza stampa di fine anno. Delle tutele crescenti degli statali, precisa, si discuterà nella delega Pa. Patta pagina 5ROMA Via i «fannulloni» nella pubblica amministrazione. Matteo Renzi approfitta della polemica sorta all’interno del suo stesso governo sull’estensione o meno del nuovo contratto a tutele crescenti ai dipendenti pubblici per chiarire la sua posizione a riguardo e rilanciare uno dei suoi vecchi cavalli di battaglia: premiare il merito e punire chi ruba, non lavora o si assenta a lungo. «Ho deciso io di eliminare la precisazione che le norme del Jobs act non valessero per gli statali», ha chiarito il premier nel corso della tradizionale conferenza stampa di fine anno. Una decisione, quella del premier, che non significa però voler mantenere lo status quo nel pubblico impiego. «La questione verrà affrontata nell’ambito della riforma della Pa del ministro Madia». Tra febbraio e marzo, insomma, quando la tempesta Italicum-riforme costituzionali-elezione del successore al Colle sarà passata. Licenziamento per scarso rendimento Non è un caso che l’esponente della minoranza del Pd Cesare Damiano commentava con soddisfazione a fine giornata: «Il premier ha messo una pietra tombale, dopo l’opting out e lo scarso rendimento, anche all’ultima pretesa di Ncd e di Pietro Ichino di trasferire le regole del Jobs Act al settore pubblico». Chiaro che nella decisione di Renzi di “posticipare” la questione c’è anche l’intento di non creare altri motivi di tensione con la minoranza del suo partito, che invece il premier ha interesse a tenere il più possibile compatto in vista del voto sul Quirinale. Ma le cose non stanno esattamente come dice Damiano, dal momento che Renzi ha fatto riferimento proprio alla possibilità di prevedere per i dipendenti pubblici il licenziamento per scarso rendimento (che invece non è stato inserito nel Jobs act). «Io penso che vada cambiato il sistema del pubblico impiego – ha spiegato il premier – ma non è detto che si debba prevdere lo stesso me ccanismo del Jobs act. Magari si può rafforzare il ruolo dei giudici, che nel privato abbiamo ridotto al minimo, per rispettare il “regime differenziato” di chi è stato assunto tramite concorso pubblico». D’altra parte già oggi il sistema di tutela reale (reintegro) previsto dall’articolo 18 è per i dipendenti pubblici quello ante legge Fornero. Il premier ha poi bollato come «ipotesi da escludere» che Tito Boeri alla presidenza dell’Inps preannunci una riforma delle pensioni. L’Europa e il nodo investimenti Dal lavoro alla pubblica amministrazione, dalle riforme istituzionali a quelle del fisco e della giustizia. Le riforme strutturali sono fondamentali e le stiamo facendo – dice Renzi – ma da sole non bastano per ripartire: «C’è bisogno di un cambio di paradigma a livello europeo». Il 2015 sarà dunque l’anno della battaglia per scorporare gli investimenti dal computo del 3% deficit/Pil. «Il tema degli investimenti è centrale: la nostra richiesta storica è scomputarli dal Patto, vedremo se questa richiesta sarà accolta dall’Ue. Il resto lo scopriremo solo vivendo…», così risponde il premier a chi gli chiede se, nel caso in cui nella Ue non passi lo scomputo degli investimenti, l’Italia potrebbe andare avanti da sola sforando il 3%. Un’ipotesi che Renzi sembra non escludere, ma intanto ci sono obiettivi più realistici: «Abbiamo 5 miliardi di euro solo per far fronte alla possibilità di spendere i fondi europei che ci sono, ed è evidente che questi denari debbono essere messi in condizione di essere scomputati dal patto». Privatizzazioni e municipalizzate Il 2015 sarà anche l’anno delle privatizzazioni, assicura Renzi. Sì alla quotazione di Poste italiane (nel 2015) e di Ferrovie (tra il 2015 e il 2016), ora partecipate interamente dallo Stato. La frenata c’è invece sull’ipotesi di collocare sul mercato un’ulteriore quota di Eni (4,35% la quota del Tesoro, 25,76% quella Cdp): «Sono tutte da verificare le condizioni del mercato, con il petrolio in queste condizioni dobbiamo valutare». Quanto alle municipalizzate, resta «l’obiettivo di passare da 8mila a mille». Ma prima di quotare le municipalizzate «con margini di inefficienza pazzeschi» (nello sblocca-Italia e poi nella Legge di stabilità era stato ipotizzato un intervento di fiscalità agevolata in questo senso) occorre «compattarle», definite «un numero minimo di aziende per ambito che sono costrette a mattersi insieme». Nessun rischio contagio «Mi sento di escludere totalmente un effetto contagio della Grecia sull’Italia», assicura poi Renzi riferendosi alla Grecia che si avvia a tornare alle urne e alla possibilità che vincano gli euroscettici di Alexis Tsipras. «I rendimenti dei titoli italiani sono al 2.01%, sono ai minimi storici. L’Italia ha una grande industria manifatturiera, condizioni economiche decisamente positive al netto del grande problema del debito. Con tutto il rispetto per la Grecia, direi che la similitidine andrebbe fatta tra noi e la Germania». Il passaggio Italicum-Quirinale Il convitato di pietra di tutta la conferenza stampa, durata più di due ore, è stata naturalmente l’imminente successione a Giorgio Napolitano. Renzi ha risposto infastidito alle varie domande sull’argomento dicendosi sicuro che «ci sono i numeri». Ma il suo insistere sull’importanza del patto del Nazareno che si estende, nel metodo, anche al Quirinale conferma che la strategia è quella di tamponare i franchi tiratori nel Pd (ma anche dentro Fi) con un accordo largo su un nome autorevole da eleggere dopo la quarta votazione. «Il Capo dello Stato ha funzioni politiche con la “p” maiuscola», è l’unico indizio lanciato da Renzi rispondendo a una domanda sulla possibilità di una soluzione “tecnica” (sono stati fatti i nomi di Padoan, Draghi e Visco). Ma prima della battaglia del Quirinale va approvato l’Italicum in Senato e la riforma costituzionale alla Camera. «Bisogna chiudere prestissimo perché c’è un limite a tutto», è l’avviso ai naviganti. E senza cambiamenti, è il messaggio alla minoranza del Pd in guerra contro i capilista bloccati: «Il sistema funziona, è come un Mattarella con le preferenze», dice Renzi riferendosi al fatto che i capilista nei cento collegi sono un po’ come i candidati dei collegi uninominali della vecchia legge.

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