La buonuscita del pubblico impiego

Fonte: Il Messaggero

È come una partita di ping pong.
Tra governo (e parlamento) e Corte costituzionale s’è creata una accesa contesa, nella quale oggetto dei colpi è il trattamento di fine lavoro dovuto ai dipendenti statali e del pubblico impiego.
Tutto nasce dalla legge 122 del 2010 che crea un «mostro» giuridico, secondo cui la buonuscita (statali), l’indennità di anzianità (enti pubblici) e il trattamento di fine servizio (enti locali e sanità) vengono trasformati nel tfr del settore privato dal 1˚ gennaio 2011, mantenendo però le vecchie norme per il calcolo della prestazione e il versamento del relativo contributo.
Proteste a non finire, ricorsi, e la questione approda alla Consulta, che, con sentenza 223/2012, non può far altro che smantellare la contorta costruzione della legge.
La Corte in sostanza dice: può anche stare bene l’allineamento al tfr, ma allora si deve togliere il contributo del 2,50% a carico dei dipendenti.
I lavoratori gridano vittoria per il presente e per il futuro e nello stesso tempo reclamano il rimborso dei contributi versati da gennaio 2011 a oggi.
Sembra facile? Niente affatto.
Il governo non molla la presa sul contributo.
Detto, fatto.
Con il decreto legge 185 del 29 ottobre 2012 ripristina la legge 122 avendo l’accortezza di togliere l’allineamento delle norme del settore pubblico al tfr dei privati.
In questo modo la normativa torna a essere quella di prima e il lavoratore pubblico a pagare il contributo del 2,50% (nel complesso è il 9,60% per statali e 6,10% per enti locali).
Ora l’Inps ha un anno di tempo (31 ottobre 2013) per rimborsare le somme sottratte alle buste paga per i circa due anni di prelievo dichiarato incostituzionale.

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