Gli errori dell’INPS tra risarcimento e restituzione dell’indebito

Approfondimento di Gabriella Crepaldi

L’ente previdenziale è obbligato a rappresentare al lavoratore una valutazione veritiera e certa della sua posizione contributiva: si tratta di un atto con valenza certificativa sul contenuto del quale il privato nutre affidamento.

In ragione di ciò, la giurisprudenza afferma che il lavoratore indotto a dimettersi da erronee informazioni dell’INPS sulla sua posizione previdenziale ha diritto al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni perdute (Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 9 luglio 2008, n. 18814).
Il risarcimento del danno, cioè, dovrà essere commisurato ad un importo pari a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori anteriormente accreditati (v. anche Corte Cass., sez. lav., 24 gennaio 2003, n. 1104).
L’ente previdenziale non risponde del danno derivato al dipendente solo se riesce a provare che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza.

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