Decadenza dalla carica di un consigliere comunale

Il servizio di consulenza della Regione Friuli Venezia Giulia risponde alla domanda posta da un Comune in materia di decadenza dei consiglieri comunali dalla carica per ripetute assenze, in particolare con riferimento ai casi e alle modalità procedimentali per formulare la relativa richiesta.

La risposta del Servizio di Consulenza

Sentito il Servizio Consiglio autonomie locali ed elettorale, il servizio di consulenza della Regione Friuli Venezia Giulia formula le seguenti considerazioni.

L’articolo 18 dello statuto comunale rubricato ‘Decadenza’ prevede che: ‘Si ha decadenza dalla carica di consigliere comunale:

a) omissis;
b) Per mancato intervento, senza giustificati motivi, ad una intera sessione ordinaria’.

Il comma 2 del medesimo articolo, specifica, poi, che: ‘La decadenza è pronunciata dal consiglio comunale, d’ufficio, promossa dal Prefetto o su istanza di qualunque elettore del comune, decorso il termine di 10 giorni dalla notificazione all’interessato della relativa proposta’.

L’articolo 43, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), recita: ‘Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative’.

Atteso che lo statuto dell’Ente è di data antecedente all’entrata in vigore del TUEL rileva il disposto di cui all’articolo 273 dello stesso nella parte in cui prevede che: ‘Le disposizioni degli articoli […] 289 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148, si applicano fino all’adozione delle modifiche statutarie e regolamentari previste dal presente testo unico’.

In particolare, l’articolo 289 del R.D. 148/1915, al primo comma, stabilisce che: ‘I consiglieri, che non intervengono ad una intera sessione ordinaria, senza giustificati motivi, sono dichiarati decaduti.’.[1] Il successivo terzo comma dispone, poi, che: ‘La decadenza è pronunciata dai rispettivi Consigli’.

Trovando, pertanto, ancora applicazione in via transitoria l’articolo 289 del R.D. 148/1915 il consiglio comunale può dichiarare la decadenza del consigliere per mancata partecipazione alle sedute solo qualora si verifichi la condizione consistente nel mancato intervento del consigliere comunale ad una intera sessione ordinaria.

Circa il significato da attribuire alla nozione ‘sessione ordinaria’, atteso il silenzio sul punto dello statuto,[2] si fa presente che l’articolo 124 del R.D. 148/1915 stabiliva che:

‘Il Consiglio comunale deve riunirsi due volte l’anno in sessione ordinaria.

L’una nei mesi di marzo, aprile o maggio.

L’altra nei mesi di settembre, ottobre o novembre’.

In altri termini, parrebbe che per sessioni ordinarie debbano intendersi quelle relative all’approvazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale e del rendiconto di gestione.

Sull’istituto della decadenza dalla carica del consigliere per ripetute assenze i giudici amministrativi hanno estrapolato una serie di principi volti a garantire il giusto contemperamento degli interessi coinvolti nel procedimento in riferimento ovverosia ‘da una parte l’esigenza di rispettare il mandato elettorale e di non rendere eccessivamente difficile l’adempimento dello stesso da parte del soggetto eletto, dall’altra l’esigenza di garantire una ordinata e proficua attività dell’organo collegiale che non può essere paralizzata da un’ingiustificata assenza dei suoi componenti‘.[3] Di particolare interesse, al riguardo, è la pronuncia del Consiglio di Stato del 20 febbraio 2017[4] che riepiloga quanto affermato in diverse occasioni dai giudici amministrativi sull’istituto in argomento. Recita l’indicata sentenza: «La fondatezza del ricorso in esame va valutata alla luce dei principi che questa stessa Sezione ha già da tempo avuto modo di ben chiarire, dai quali non v’è motivo di discostarsi e che qui si richiamano testualmente:

‘- le assenze per mancato intervento dei consiglieri dalle sedute del consiglio comunale non (devono) essere giustificate preventivamente di volta in volta;

– le giustificazioni possono essere fornite successivamente, anche dopo la notificazione all’interessato della proposta di decadenza, ferma restando l’ampia facoltà di apprezzamento del consiglio comunale in ordine alla fondatezza e serietà ed alla rilevanza delle circostanze addotte a giustificazione delle assenze;

– le circostanze da cui consegue la decadenza vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che essa comporta all’esercizio di un munus publicum;

– gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati con la massima attenzione anche per evitare un uso distorto dell’istituto come strumento di discriminazione nei confronti delle minoranze;

– le assenze danno luogo a revoca quando mostrano con ragionevole deduzione un atteggiamento di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni con l’incarico pubblico elettivo;[5]

– la mancanza o l’inconferenza delle giustificazioni devono essere obiettivamente gravi per assenza o estrema genericità e tali da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi” (V Sezione, sentenza 9 ottobre 2007, n. 5277).

“La protesta politica, dichiarata a posteriori, non è idonea a costituire valida giustificazione delle assenze dalle sedute consiliari, in quanto, affinché l’assenza dalle sedute possa assumere la connotazione di protesta politica occorre che il comportamento ed il significato di protesta che il consigliere comunale intende annettervi siano in qualche modo esternati al Consiglio o resi pubblici in concomitanza alla estrema manifestazione di dissenso, di cui la diserzione delle sedute costituisce espressione”; “spetta al Consigliere nei confronti del quale è instaurato il procedimento di decadenza di fornire ragionevoli giustificazioni dell’assenza”; “è legittima la decadenza dalla carica di consigliere comunale per assenza ingiustificata, qualora la giustificazione addotta dall’interessato è talmente relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce (come nel caso della protesta politica non altrimenti e non prima esternata), da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza del motivo” (V Sezione – sentenza 29 novembre 2004, n. 7761).».

Premesso un tanto, con riferimento alle modalità e procedure da porre in essere al fine della dichiarazione di decadenza, si rileva la necessità che venga avviato un procedimento amministrativo di contestazione.

Al riguardo la giurisprudenza[6] ha affermato l’applicabilità al procedimento di decadenza in riferimento della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, nello specifico, dell’articolo 7 relativo all’obbligo dell’Amministrazione di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento. Tale comunicazione deve, tra l’altro, indicare il termine entro cui l’amministratore locale coinvolto deve ottemperare alla presentazione delle giustificazioni, laddove queste non siano state già comunicate congiuntamente alle dichiarazioni di assenza.

Legittimati all’instaurazione del relativo procedimento sono i consiglieri comunali, in forza del disposto di cui all’articolo 43, comma 1, TUEL nella parte in cui recita che: ‘I consiglieri comunali […] hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio.’.

Quanto alla dichiarazione di decadenza si ribadisce che la stessa compete al consiglio comunale il quale dovrà procedere nel rispetto delle condizioni tutte sopra indicate. Pertanto, spetta al consiglio la valutazione – discrezionale ma congruamente motivata – in ordine alla valenza giustificativa delle motivazioni delle assenze, presentate anche successivamente dal consigliere.

 

——————————————————————————–

[1] Il secondo comma dell’articolo 289 del RD 148/1915 disciplinava, invece, la diversa ipotesi della decadenza dell’assessore comunale e disponeva che: ‘Il deputato provinciale, o l’assessore municipale, che non interviene a tre sedute consecutive del rispettivo consesso, senza giustificato motivo, decade dalla carica.’.

[2] E sul presupposto che neppure il regolamento sul funzionamento del consiglio dica alcunché al riguardo.

[3] Cfr. T.A.R. Basilicata, sentenza del 27 marzo 2000, n. 184.

[4] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 20 febbraio 2017, n. 743.

[5] Si veda, anche T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, sentenza del 22 marzo 2017, n. 3786.

[6] T.A.R. Abruzzo, Pescara, sentenza del 7 novembre 2006, n. 689. Nello stesso senso, T.A.R. Campania, Napoli, sentenza del 4 dicembre 1992, n. 436.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *