Conseguenze per il fondo e la programmazione del personale nella bozza del D.P.C.M. al Decreto Crescita (Parte II)

Approfondimento di V. Giannotti e G. Popolla

All’indomani del d.l. n.34/2019 (cosiddetto decreto crescita) la dottrina si è divisa sulla corretta interpretazione delle norme tanto da attendere la Conferenza Stato-città che solo in data 11 dicembre 2019 ha dato specifiche indicazioni sull’efficacia delle nuove disposizioni. Non sono pochi, infatti, gli enti locali che hanno atteso sino alla fine per verificare se l’anno 2019 fosse stato inciso o meno dalle nuove disposizioni legislative, avendo alla fine contezza che, nel decreto interministeriale oggetto di positiva intesa, la nuova normativa si dovesse applicare solo a partire dal 2020. Oltre alla data di operatività del D.P.C.M., tuttavia, alcuni dubbi della dottrina restano più o meno immutati. Con il presente articolo si tenterà, partendo dal d.l. n. 34/2019 e dalla bozza del D.P.C.M. non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, di fornire una possibile interpretazione delle nuove disposizioni sulla base del dato letterale delle stesse.

Disposizioni del d.l. 34/2019

La parte oggetto di interpretazione del Decreto Crescita è l’ultimo periodo dell’art. 32, comma 2 il quale recita quanto segue:

  • Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (secondo cui il salario accessorio complessivo non deve superare quello dell’anno 2016), è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite (riferito all’anno 2018) del fondo per la contrattazione integrativa, nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018.

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