Whistleblowing: il segnalante l’illecito è sempre tutelato?

di LIVIO BOIERO

Ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs n. 165/2001, il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della Pubblica Amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorità  nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è  venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L’adozione di una delle misure ritorsive ora richiamate, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.

L’identità del segnalante non può essere rivelata. Nell’ambito del procedimento penale, i dati  del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell’ambito del procedimento disciplinare la rilevazione del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità. Infine, la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

Per facilitare il compito da parte del c.d. Whistleblower , l’ANAC, con proprio comunicato del 6 febbraio 2018, ricorda che è operativa l’applicazione informatica Whistleblower per l’acquisizione e la gestione, nel rispetto delle  garanzie di riservatezza previste dalla normativa vigente, delle segnalazioni  di illeciti da parte dei pubblici dipendenti come definiti dalla nuova versione  dell’art. 54-bis del d.lgs.165/2001. Al fine, quindi, di garantire la tutela della riservatezza in sede di acquisizione della segnalazione, l’identità del segnalante verrà segregata e lo stesso, grazie all’utilizzo di un codice  identificativo univoco generato dal sistema, potrà “dialogare” con l’ANAC in maniera spersonalizzata tramite la piattaforma informatica.

La vicenda

Una recente sentenza del TAR Campania (n. 3880/2018) ha evidenziato molto bene quando una segnalazione di un illecito è degna di tutela ai sensi dell’istituto del Whistleblowing e quando no.

In questo caso, il  ricorrente ai giudici amministrativi era un  Dirigente del ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca scientifica, il quale affermava che aveva  ricevuto una missiva sottoscritta da un legale in cui era accusato di aver posto in essere atti persecutori (mobbing e bossing) nei confronti di una dipendente di un liceo. Al fine di averne copia, ond  tutelare i propri interessi, presentava quindi una istanza di accesso con cui chiedeva  di avere in visione e estrarre copia  degli atti inoltrati dalla dipendente. L’accesso era stato inizialmente differito e successivamente limitato ad una sola parte dei documenti. Di qui il ricorso all’esame con cui il  ricorrente chiedeva l’accertamento del proprio diritto a ottenere ostensione e copia di tutti gli atti richiesti nessuno escluso.

In sede di memorie difensive, entrambi i resistenti avevano invece affermato che l’esclusione dell’accesso si ricollegava alla circostanza che la fattispecie sarebbe stata regolata non dagli articoli 22 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241 ma dalla disposizione dell’articolo 54-bis d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 che, al fine di tutelare il dipendente pubblico che segnali illeciti, garantisce l’anonimato del denunciante e sottrae ad accesso la segnalazione dell’illecito.

Ad avviso del Collegio, la fattispecie all’esame non era però da ricondurre alla normativa dell’articolo 54-bis del d.lgs n. 165. Invero, come abbiamo più in alto ricordato, la disposizione in questione  si riferisce  ad una fattispecie diversa che è quella del dipendente pubblico che, essendo venuto a conoscenza per ragioni di ufficio della commissione di illeciti da parte di altri dipendenti, pur essendo esposto al rischio di possibili ritorsioni, si risolva a segnalare tali illeciti “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” denunciandoli al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza … ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o …all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile.

<<In tale caso il dipendente (cd. whistleblower) è tutelato dalla norma dell’articolo 54-bis da ritorsioni, in primo luogo garantendo il suo anonimato e (tra l’altro) sottraendo ad accesso la segnalazione dell’illecito. Nel caso all’esame, la signora-OMISSIS-con il suo esposto – che oltretutto non è stato inviato ad alcuna delle autorità indicate nell’articolo 54-bis – non ha agito a tutela dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione ma a tutela dei diritti nascenti dal proprio rapporto di lavoro asseritamente lesi dalla ricorrente nel contesto di una annosa situazione di contrasto che la vede opposta a quest’ultima; in sostanza l’esposto in questione si inserisce in una “ordinaria” controversia di lavoro; se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori scaturita da situazioni di conflitto con i superiori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”. Tra l’altro nella fattispecie è anche evidente che non esiste alcuna esigenza di garantire l’anonimato di un denunciante (dato che la circostanza che la signora-OMISSIS-ha denunciato con esposto le illegittimità che la ricorrente avrebbe compiuto nei suoi confronti è ben nota a tutte le parti). Sintomatico è che le circolari emanate in materia abbiano chiarito che le “le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” (cfr. ad es. la Circolare 28 luglio 2015, n. 64 dell’INAIL o la Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S.). In definitiva l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure>>.

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