Sul pubblico impiego mancano regole coordinate

Fonte: Il Sole 24Ore

Le disposizioni in materia di pubblica amministrazione possono essere più o meno rigorose, ma dovrebbero essere innanzi tutto chiare e definire un quadro di certezze. Le ultime disposizioni varate con il Dl 138/2011 e con il Dl 201/2011 (ora legge n. 214/2011) generano dal punto di vista finanziario un quadro di incertezza, che rischia di lasciare le pubbliche amministrazioni e i dipendenti in un contesto di confusione e di paralisi organizzativa.
Il legislatore con il Dl 138/2011 ha continuato a imporre per legge dei tagli delle dotazioni organiche per le amministrazioni centrali, in mancanza di autonomi e spontanei processi di riorganizzazione, richiedendo un ulteriore taglio del 10% del personale e delle qualifiche, dopo le due precedenti riduzioni effettuate con la legge 296/2006 e il Dl 112/2008. Questi tagli degli organici si sono abbattuti su posizioni vacanti, generate da iniziali fabbisogni sovradimensionati e dal successivo contenimento delle assunzioni. Ma recentemente hanno riguardato anche il personale presente con l’obbligo di ricavare delle economie.
Le pubbliche amministrazioni non hanno mai dichiarato spontaneamente le eccedenze di personale. Per questo il legislatore sente la necessità di modificare l’articolo 33 del Dlgs 165/2001, ancorando la dichiarazione di eccedenza anche a dati gestionali, come le esigenze funzionali e la situazione finanziaria. Al contempo le recenti norme sulle pensioni (articolo 24 del Dl 201/2011) hanno eliminato le disposizioni volte a ridurre il numero dei dipendenti pubblici e rallentato fortemente le uscite di personale per i prossimi tre-cinque anni, impedendo anche il riassorbimento dei soprannumeri creati dai tagli e dai processi di fusione. Vengono meno l’esonero anticipato con 35 anni di contributi, la risoluzione unilaterale con 40 anni di contributi e il divieto di trattenimento da 65 a 67, venendo a mancare uno strumentario utile per ristrutturare il settore pubblico. Si pensi inoltre che in presenza di eccedenze non riassorbite scatta naturalmente il divieto di assunzione a qualsiasi titolo e ciò aumenterà la già elevata età media dei dipendenti pubblici: un freno quindi nei confronti dell’innovazione. Tutte le programmazioni dei fabbisogni fondate sulla programmazione delle uscite, d’ora in poi dovranno tenere conto che si potrà rimanere fino a 70 anni e che il requisito minimo sarà di 66 anni per la vecchiaia e di 42 anni di contributo per la vecchiaia anticipata.
Tutti dovrebbero essere d’accordo che dobbiamo sopprimere livelli di governo, eliminare le duplicazioni di competenze, ridurre le partecipate, informatizzare e semplificare i procedimenti e quindi ridurre il personale assunto in abbondanza nelle amministrazioni, nei consorzi e controllate varie. Ma il mancato coordinamento da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato tra norme di pensioni e norme sulla razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni mostra quanto siamo distanti dalla spending review e da una logica di piani industriali. Attualmente le amministrazioni centrali hanno circa duemila eccedenze di personale. Con il taglio del 10% da effettuare entro il 31 marzo avremo altri 15mila esuberi da collocare per 2 anni all’80% della retribuzione, data l’impossibilità di collocarli presso altri livelli di governo a causa del patto di stabilità interno e della sofferenza dei bilanci di regioni ed enti locali.
Viene da pensare che chi conosce di pensioni non sappia cosa accada nelle pubbliche amministrazioni italiane e viceversa, ma soprattutto che vi sono oltre 300mila eccedenze nelle amministrazioni pubbliche e circa 150mila nelle società partecipate. Abbastanza per pensare a norme speciali di fuoriuscita e non di trattenimento.

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