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Ius variandi nel pubblico impiego privatizzato
Lo ius variandi relativo alle mansioni del dipendente esercitabile da parte del datore di lavoro suscita incertezze, anche per la differente disciplina fornita dal legislatore a seconda che si tratti di impiego privato o di impiego pubblico contrattualizzato

Lo ius variandi relativo alle mansioni del dipendente esercitabile da parte del datore di lavoro suscita incertezze, anche per la differente disciplina fornita dal legislatore a seconda che si tratti di impiego privato o di impiego pubblico contrattualizzato.
Nell’impiego privato si applica l’art. 2103 cod. civ. che, nel testo rimasto in vigore fino al 24 giugno 2015, prevedeva che il lavoratore dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
Il giudizio sull’equivalenza delle mansioni riconosceva al giudice un ampio margine di valutazione, dovendo questi procedere in concreto, con decisione in fatto non censurabile in Cassazione, ove adeguatamente motivato.
La Corte di Cassazione, in merito, aveva stabilito che nel condurre l’indagine circa l’equivalenza tra le vecchie e le nuove mansioni non potesse bastare il riferimento in astratto al livello di categoria, dovendosi procedere a valutare che le nuove mansioni fossero aderenti alla specifica competenza tecnico professionale del dipendente e fossero tali da salvaguardarne il livello professionale acquisito, in funzione di valorizzazione della capacità di arricchimento del bagaglio di conoscenze ed esperienze.

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