Riforma pa: insipienza giuridica

Fonte: Italia Oggi

In questa terza puntata sulla cosiddetta Riforma della pubblica Amministrazione ci occupiamo, in sintesi, delle norme (art. 23) sulle province e sulle città metropolitane. La legge affronta (sic!) vitali modifiche alla nomenclatura già adottata: per esempio il consiglio metropolitano si chiamerà conferenza metropolitana. Poi, indirizzi (legislativi) sulle partecipazioni azionarie delle Province di Milano sino a prevedere che le stesse, al 31.12.2016 siano trasferite in regime di esenzione fiscale alla regione Lombardia, anche mediante società dalla stessa controllate, a titolo gratuito, ferma restando l’appostazione contabile del relativo valore. Ci si può rendere conto come il governo Renzi aggravi la pessima tendenza a legiferare su questioni che potrebbero essere risolte con direttive o con semplici provvedimenti amministrativi. Si tratta di un approccio discutibile, visto che complica ulteriormente le difficoltà delle amministrazioni nell’applicare le leggi: con questa metodologia si induce il sistema alla paralisi totale. Il vizio, che qui si manifesta, risale al metodo degli amministratori locali che, a scanso di responsabilità, pretendono leggi statali e regionali che li obblighino a prendere i provvedimenti che potrebbero liberamente adottare. In verità, per farlo si dovrebbe essere capaci di redigere motivazioni giuridicamente ineccepibili (e qui casca, rovinosamente, l’asino). Pensate che il medesimo articolo 23 di questa pseudoriforma prescrive che «con perizia resa da uno o più esperti nominati dal Presidente del Tribunale di Milano tra gli iscritti all’apposito Albo dei periti, viene operata la valutazione e l’accertamento del valore delle partecipazioni riferito al momento del subentro della Regione nelle partecipazioni e, successivamente, al momento del trasferimento alla città metropolitana. Gli oneri delle attività di valutazione e accertamento sono posti, in pari misura, a carico della Regione Lombardia e della città metropolitana. Il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del subentro nelle partecipazioni della Regione Lombardia, come sopra accertato, è quanto dovuto rispettivamente alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e Brianza. L’eventuale differenza tra il valore rivestito dalle partecipazioni al momento del trasferimento, rispettivamente, alla città metropolitana e alla nuova Provincia di Monza e Brianza e quello accertato al momento del subentro da parte della Regione Lombardia costituisce il saldo, positivo o negativo, del trasferimento delle medesime partecipazioni a favore della città metropolitana e della nuova Provincia, che sarà oggetto di regolazione tra le parti. Dal presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.» Sembrerebbe necessario sottoporre a perizia psichiatrica gli autori di questo articolo di legge, facilmente sostituibile con un rinvio a «Idonei provvedementi attuativi». Pensate che, subito dopo, questo chilometrico testo si occupa dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società (di cui sopra): essi decadono «e si provvede alla ricostituzione di detti organi nei modi e termini previsti dalla legge e dagli statuti sociali.» Epocale, la norma. Questa lettura dell’articolo 23 della riforma della pubblica Amministrazione va consigliata ai cittadini italiani: con esso non solo si dimostra come la modalità legislativa scelta sembra frutto di follia, ma anche che, mediante una serie di criptici rinvii, si renda impossibile la percezione di ciò che concretamente la legge voglia prescrivere. E dire che, su questo terreno, le commissioni di studio insediate negli ultimi vent’anni avevano tutte unanimemente condannato il metodo. Un’ultima considerazione, rivolta alle mosche cocchiere dell’abolizione delle provincie: oggi, con l’abolizione, si è decretata una nuova devoluzione di competenze alle regioni. Agli enti, cioè, che sono stati e sono protagonisti della dissipazione nazionale, incapaci di recepire le esigenze di austerità che percorrono la penisola. Centri di spesa che, spesso, operano in conflitto con le esigenze della politica economica nazionale. E l’intervento costituzionale sul titolo V, che indica l’orizzonte politico delle regioni, è insufficiente, ancora una volta facciata non sostanza. L’analisi continua senza ottimismi. Alla prossima puntata.

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